La cronistoria del massacro alle Olimpiadi di Monaco ’72 parte nel luglio dello stesso anno in un bar della capitale italiana, quando due esponenti di Al-Fatah (un’organizzazione politica e paramilitare palestinese del leader Asser Arafat) incontrano Abu Mohammed, un dirigente affiliato all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e promotore di un gruppo terroristico di stampo socialista e laico conosciuto con il nome di “Settembre Nero”.
“Se non ci permettono di partecipare ai Giochi Olimpici, perché non proviamo a prendervi parte a modo nostro?” commentò alla notizia secondo cui il Comitato Olimpico non aveva degnato di risposta la Federazione Giovanile della Palestina, alla richiesta di poter concorrere con una propria delegazione. Fu questo il pretesto che diede inizio alla tragedia.
L’intento simbolico di quell’edizione delle Olimpiadi era di rafforzare in terra tedesca il concetto di “pace” dopo la seconda guerra mondiale, ma in 21 ore fallì drammaticamente. La Germania, anche per scrollarsi di dosso quell’immagine austera che il mondo aveva imparato a conoscere nel corso del Novecento, decise di mantenere i livelli di sicurezza piuttosto bassi e la sorveglianza costituita da volontari (muniti solo di divise e ricetrasmittenti), era stata addestrata a intervenire esclusivamente in caso di risse, ubriachezza o poco altro.
Quando alle 4.30 del 5 Settembre 1972 otto membri di “Settembre Nero” noti come fedayyìn, entrarono senza tante difficoltà nel villaggio olimpico, prese il via l’attacco dinamitardo che cambiò ancora una volta gli equilibri in Medio Oriente tra israeliani e palestinesi.
Fu semplice per gli attentatori, aiutati e scambiati per dei colleghi da alcuni agonisti canadesi, fare irruzione nella palazzina degli atleti di Israele. Ne uccisero subito 2 e ne sequestrarono altri 9, e si scoprì solo a distanza di anni delle torture e sevizie inflitte.
Alle 5.00 del mattino cominciarono le trattative: con un due fogli di carta lanciati dal balcone i terroristi chiesero la liberazione di 234 detenuti nelle carceri israeliane e pretesero 3 aerei con destinazione Il Cairo.La polizia tedesca mostrò purtroppo tutta la sorpresa per un evento che non aveva previsto e che stava sconvolgendo il mondo.
L’allora primo ministro israelita Golda Meier, contattata dal cancelliere della Germania dell’Ovest Willy Brandt, si rifiutò categoricamente di scendere a compromessi e da lì partì un lungo negoziato.
Dopo vari tentativi di “salvataggio”, verso le 22.30 il commando assieme agli ostaggi furono trasferiti con degli elicotteri nella base aerea di Furstenfeldbruck, come da loro richiesto. Una volta atterrati la polizia tedesca provò a liberare gli atleti con un’operazione farraginosa, mancavano uomini addestrati e attrezzature adeguate. L’area venne così illuminata a giorno e gli agenti aprirono il fuoco: lo scontro durò circa un’ora e persero la vita tutti gli sportivi israeliani, cinque sequestratori e un poliziotto tedesco. All’1.30 del 6 Settembre era tutto finito. I Giochi Olimpici sospesi solo per un giorno, non furono incredibilmente annullati, provocando indignazione e proteste. I 3 attentatori superstiti, in seguito rapidamente scarcerati (nell’ambito di una trattativa per il dirottamento di un aereo della Lufthansa, diretto a Francoforte), vennero inviati in Libia, dove fu organizzata per loro una conferenza stampa trasmessa in tutto il mondo: “Settembre Nero” aveva apparentemente raggiunto l’obbiettivo.
La risposta di Israele infatti non si fece attendere. Golda Meier autorizzò al Mossad
(l’intelligence israeliana) l’operazione chiamata “Ira di Dio”, con lo scopo di perseguitare e uccidere tutte le persone coinvolte in quel massacro. Avrebbero fatto vittime per i successivi 20 anni.
Solo nel settembre ’92 le vedove dei primi due Campioni assassinati ricevettero le immagini del sequestro e scoprirono davvero cosa subirono i mariti: “Yossef – ha dichiarato la moglie di Romano 31 anni pesista – è stato castrato dai sequestratori e lasciato morire sotto gli occhi dei suoi
compagni”. “I terroristi hanno sempre sostenuto che non avevano intenzione di uccidere nessuno ma di volere liberare i compagni in prigione a Israele. – spiega la compagna di Andrè Spitzer, 27 anni allenatore di scherma – Non è vero, erano venuti a torturare e uccidere ”.
Fabio Ridolfi