Non conosce le mezze misure. Parla Alberto Sperotto La missione della Ronda non è quella di controllare la fedina penale delle persone

O lo si ama o lo si detesta. Perché Alberto Sperotto, in Ronda della carità dal 2013 e presidente dal 2021, non è uomo da mezze misure. Per lui, o bianco o nero. Tanto che, da ragazzo, il servizio civile lo svolse non in un museo o in una biblioteca, ma in mezzo agli Shuar, la tribù di tagliatori di teste più pericolosa dell’Amazzonia. Da allora, affiancato al lavoro di grafico, l’impegno politico di Sperotto è proseguito sempre all’insegna delle scelte più radicali. Da uomo del no: no al traforo delle Torricelle, no alla Tav. Fino all’ultima polemica, che l’ha coinvolto suo malgrado: la Ronda della carità “calamita involontaria del degrado” in piazza Bra, come sostiene l’onorevole di Forza Italia Flavio Tosi.
Signor Sperotto, la Verona che guarda alla solidarietà la ama, la Verona che guarda all’economia, e desidera una città attrattiva per i flussi turistici, no. Dove sta la ragione?
“Io vorrei una città accogliente sia per chi si trova in difficoltà, e vive ai margini sperando in un futuro migliore, sia per i turisti e sia per chi Verona la vive. Forse la domanda è mal posta. Mi pare sbagliato pensare che esista un luogo di serie A, il salotto di Verona, e una città di serie B, i quartieri più periferici. Verona dev’essere una, e ugualmente vivibile da tutti i suoi cittadini e dai suoi turisti. Non è che spostando i senza dimora dal centro alla periferia, il problema si risolve. E poi noi siamo sempre andati nel centro storico, anche ai tempi del sindaco Tosi”.
Pur riconoscendo il servizio fondamentale per aiutare i senza tetto, una parte di Verona è convinta che la vostra azione aumenti il degrado nel centro storico.
“Non ho mai sentito parlare di degrado per le altre manifestazioni dove si distribuisce cibo. Penso alle condizioni di piazzale Olimpia al termine di una partita importante, o agli eventi che si svolgono in piazza Dante, come il mercatino di Norimberga a Natale, che ogni sera lascia veramente sporco. É pur vero che un nostro piatto abbandonato grida molto di più, rispetto allo sporco abbandonato fuori dai cassonetti! Ma va considerato che le centinaia di persone che noi aiutiamo ogni notte, sono persone che vivono in condizioni di estrema marginalità, per strada, che hanno perso l’abitudine di quella che per noi è l’educazione. E poi il paradigma va girato: non è che le persone vengono perché ci siamo noi, siamo noi che andiamo dove ci sono persone da aiutare”.
Ma non si può evitare di andare proprio in piazza Bra?
“Noi siamo sempre stati liberi di andare dove ci viene segnalata la presenza di persone senza dimora. Il centro è un luogo che abbiamo sempre fatto: piazza Viviani, piazza Dante, piazza del Tribunale, via Anfiteatro. Lì ci sono persone che dormono anche d’inverno. Non farlo significa rinunciare a un’attività di presidio: i servizi sociali non escono per andare a incontrare le persone per strada, siamo solo noi che andiamo da loro”.
L’ex sindaco Tosi sostiene che anche qualche spacciatore, in piazza Bra, usufruisce dei vostri servizi. Lei se n’è mai accorto?
“La nostra missione non è quella di controllare la fedina penale delle persone. Neanche un bar o un ristorante lo fanno! Io so che vivono in strada anche persone che sono uscite dal carcere e non sono riuscite ad avere un reinserimento nella società. A loro noi diamo da mangiare. É probabile che, fra i senza dimora che aiutiamo, ci sia qualcuno che non si comporta bene. Ma in molti casi queste persone sono vittime loro stesse della microcriminalità: magari non hanno permesso di soggiorno e non possono lavorare, o lavorano nei campi a 3 euro l’ora. Quando non lavorano, sono sulle panchine, dove è facile venire intercettati dalla microcriminalità”. “Membri di baby gang non ne conosco. Se l’onorevole Tosi conosce qualche componente che si avvicina ai nostri furgoni di distribuzione del cibo, sarebbe opportuno che avvisasse le forze dell’ordine. E ci farebbe un favore ad avvisare anche noi, in modo che possiamo proteggerci!”.
Polemica politica a parte, è indubbio che Verona vive della bellezza dei suoi luoghi storici, frequentati da migliaia di turisti. Non trova che l’esigenza di garantire il decoro di una città sia più che legittima?
“Lo è. Ma quali sono le proposte alternative? Sanzionare chi non ha nulla e non potrà mai pagare? O le azioni repressive che non risolvono il problema?”.
Lei cosa proporrebbe?
“Mettersi a progettare. E superare il vecchio modello dei dormitori, che presenta notevoli criticità: promiscuità degli spazi, temporaneità dell’accoglienza (dura 20 giorni e si rinnova se c’è posto), eccessiva rigidità negli orari (alle 20 si entra e alle 7 si esce). Certo, i senza dimora hanno il bisogno di dormire, ma non è il loro bisogno primario. Il bisogno primario è quello di avere una progettualità che li porti a raggiungere l’indipendenza: di reddito, di lavoro, di casa. Se queste persone non hanno alternative, se non stare 13 ore su una panchina, la loro situazione non potrà mai cambiare”.
Al vostro rifugio di via Campo Marzo avete esempi di persone recuperate?
“C’è Sergio, veronese, che ha vissuto in strada davanti all’Adigeo. É stato anche picchiato. Passa le sue giornate qui perché si sente in un luogo protetto. Per noi è una risorsa: aggiusta biciclette, fa manutenzione. C’è Vasile, moldavo, che dormiva sulle panchine e aveva problemi di alcolismo. É riuscito a disintossicarsi da solo e ora cura il verde e coltiva il nostro orto. E c’è Katarzina, polacca, che ha dormito per più di dieci anni sotto un ponte a Poiano. Ci torna tutti i giorni per dar da mangiare ai suoi gatti. Sono persone che se vengono messe in un luogo protetto, e si sentono al sicuro, danno il meglio di loro”.
Quindi cosa bisognerebbe fare?
“Creare situazioni alternative ai dormitori. Già si vedono i primi esempi anche da noi. C’è la comunità di don Paolo Pasetto a Marcellise: le persone vengono accolte in comunità, creano una famiglia. Ci sono anche altri esempi a Verona: basta copiarli e metterli a sistema. E poi c’è l’accoglienza diffusa: qualsiasi realtà, che abbia la voglia e la possibilità, può togliere dalla strada persone senza dimora. Parlo delle associazioni, delle parrocchie, dei circoli degli alpini. Noi potremmo accompagnare queste persone nel percorso di reinserimento: toglierle dal dormitorio e affidarle alla comunità, che le prende in carico”.
Quante sono a Verona le persone in condizioni di marginalità estrema?
“Nel 2022 abbiamo consegnato 75.890 cene a persone senza dimora, con un aumento del 18% rispetto all’anno precedente. E nei primi sei mesi di quest’anno abbiamo visto un’ulteriore crescita: adesso ogni notte serviamo la cena a non meno di 350, 360 persone. Il 90% delle quali sono persone pacifiche, che potrebbero benissimo essere recuperate. E tantissimi di loro sono giovani, dai 18 ai 25 anni”.
Quindi, lei dice, la Ronda della carità svolge un servizio prezioso per la comunità veronese.
“Certo, un servizio di presidio che nessun altro svolge. E non vogliamo fermarci ai pasti. Da anni la Ronda sta cercando di spostare il baricentro dall’assistenzialismo verso azioni che possano offrire un riscatto alle persone senza fissa dimora. Da gennaio è partito il Community Center, un progetto finanziato da Fondazione Cariverona, gestito in collaborazione con il Comune e altre associazioni, che ha l’obiettivo di offrire supporto sociale, formazione, competenze linguistiche e inserimento lavorativo”.
Ma perché l’onorevole Tosi ce l’ha tanto con lei?
“Ho sempre cercato di incontrare Tosi, perché ero convinto che, dal confronto, entrambi ci saremmo portati a casa qualcosa di buono. Io e l’onorevole Tosi siamo d’accordo su un punto: non devono esserci persone per strada. Non siamo d’accordo sul metodo: per Tosi dovrebbero sparire, per me bisogna trovare percorsi di accoglienza. Però sono convinto che, ragionando assieme, un punto in comune si possa trovare. Una città accogliente dev’essere motivo di orgoglio per tutti, non di vergogna”.
Rossella Lazzarini