Raffaele Tomelleri
Eppure si, c’è stato un tempo (bello) in cui non sapevamo che fosse Dazn, non conoscevamo Sky. Canale 5 non era neppure nella testa di Berlusconi. Un tempo in cui le partite le vedevi (se andava bene) alla Domenica sportiva. Poi anche a 90′ minuto, certo, ma tu aspettavi il lunedì, per sapere come aveva giocato il Verona. Tu aspettavi L’Arena, volevi leggere Valentino Fioravanti. La partita, ricca di immagini che nascevano da una sconfinata fantasia. Se partiva con “una partita dai cangianti colori”, allora il Verona aveva giocato bene. Siamo diventati grandi leggendo Fioravanti. Siamo cresciuti a “pane e Fioravanti”. E poi, le pagelle, firmate V.Fior. La fantasia lo ispirava, il resto lo metteva lui. Quante etichette incollate, Valentino? Sembrava per poco, nessuno dei tuoi eroi le ha staccate. Piangerelli era Kerosene, perché scuro di pelle. Franzot divenne Waltour perché correva per due ed era dappertutto. E poi Oxford Tricella, Singer Sacchetti, perché cuciva il gioco, Garellik perchè faceva miracoli. E Mazzanti diventava Pantofola, Zigoni Tafferuglio, Busatta era il silenzioso di Marostica. E quanti attaccanti abbiamo visto all’ombra della “frondosa quercia di Garbagnate”, cioè Silvano Fontolan?
Il Verona era casa sua, nel senso vero della parola. A volte si piazzava in sede, quando c’era qualcosa che bolliva in pentola e si muoveva solo quando la notizia gli era sbattuta contro. Perché, diciamolo, c’è stato un tempo (bellissimo) in cui le notizie facevano un giro lungo, passavano da Valentino e solo dopo erano davvero notizie. E c’è stato un tempo, anche quello stupendo, in cui fare il giornalista voleva dire andare al campo, ai bordi del campo, a guardare l’allenamento. A parlare. Ad ascoltare. A imparare. A coltivare amicizie. Valentino era il numero 1. Prima di essere il giornalista, era l’amico. Di Chiampan, di Bagnoli, ma prima di Valcareggi, di Zigoni e di quel gruppo, la “sua” vera squadra. Perché quello era il tempo (fantastico) in cui c’era solo lui a raccontare e allora poteva davvero far volare la fantasia.
Poteva farlo. Si era conquistato il permesso. E poi arrivò un tempo (straordinario) in cui Valentino divenne un collega. Un riferimento.
A volte (quasi) un amico. Quando ti raccontava e tu ascoltavi. Quando ti buttava li qualche consiglio senza la pretesa di insegnarti.
Quando lo seguivi negli stadi più belli d’Italia e lui ti ricordava di essere stato anche a Matera, due soli veronesi al seguito, lui e Claudio Travenzolo, il capo dei tifosi. Tre giorni di viaggio, perché, con V. Fior. a volte, sapevi quando partivi ma non quando arrivavi.
Come quella volta a Cesena, mica in capo al mondo. Coppa Italia, partita in notturna, dev’essere stata l’estate 86, o forse 87. Il Verona passa ai rigori, finisce tardissimo e noi finiamo di scrivere ancora più…tardissimo. E quando dettiamo il pezzo, perché allora funzionava così, è quasi l’una. “Andiamo da Casali, hanno aperto di sicuro” disse Valentino. Con noi anche Francesco Grigolini, il fotografo. Andiamo. La cena finisce più o meno alle 2. Saliamo in macchina, “…adesso però vi porto in viale Ceccarini”. Riccione, uno dei luoghi della sua vita. Eccoci in viale Ceccarini. Qua i ricordi si fanno complicati. Di sicuro arrivano ostriche e bollicine. Ma di sicuro, gli facciamo poca compagnia, nè, anche questo va detto, facciamo una gran figura. Dormire in viale Ceccarini, ammettiamolo, non è il massimo della vita. Quando arriviamo a Verona, sono le 6 passate. E a casa sua, non c’è solo sua moglie, ad aspettare. C’è anche la mia. Lui non fa una piega. “Scusate, potevamo non andare in viale Ceccarini?”. No, non potevamo non andare, avevi ragione tu, Valentino. E adesso che hai tagliato il traguardo dei 90, caspita, ci rendiamo conto di quanto siamo stati fortunati. Di aver vissuto quel calcio, di averti letto per anni, di averti visto da vicino. Di essere diventati vecchi, ormai, a “pane e Fioravanti”.