Aumento della domanda e prezzi in rialzo. Per la carne bovina il 2022 parte all’insegna della ripresa dopo la contrazione del 2019 e gli ultimi due anni altalenanti a causa della pandemia. E Verona, prima provincia produttiva del Veneto con 48.395 tonnellate, torna a sorridere, nonostante l’aumento dei costi di produzione continui a pesare fortemente sulle aziende.
“Dalla fine del 2021 stiamo assistendo a un incremento dei prezzi del bestiame vivo del 7% che ha toccato anche punte del 10 per cento – sottolinea Nicola Codognola, presidente della sezione carne bovina di Confagricoltura Verona e titolare di un’azienda che conta 600 capi di bestiame a Nogara -. L’aumento delle quotazioni è legato a una ripresa del settore, che segna un forte consumo di carne bovina soprattutto domestico, con la grande distribuzione che ha dato maggiore spazio al prodotto italiano. La carne bovina rappresenta circa il 30% del valore medio della spesa domestica nel settore carni e quella del Veneto, grande produttore di scottona e vitellone, è particolarmente richiesta anche dalla ristorazione, in quanto ritenuta pregiata per la morbidezza e il sapore. A spingere la domanda è anche il fatto che nel resto dell’Europa i prezzi della carne sono equivalenti ai nostri. Per questo motivo i macellatori preferiscono puntare sui nostri animali anziché importarli. E questo è un dato confortante. Ricordiamoci che il settore è molto importante in Veneto sia per l’agricoltura, perché i cereali prodotti in regione vengono in gran parte consumati negli allevamenti, sia per l’indotto se pensiamo a mangimifici, concerie, macelli, trasporti, macellerie, servizi”.
La nota dolente è l’aumento dei costi di produzione, che va a inficiare parecchio l’incremento dei prezzi. “I costi dell’energia e dei cereali, soia in primis, pesano sui bilanci – spiega Piergiorgio Agostini, vicepresidente della sezione e titolare di un’azienda a Cologna Veneta -. Non a caso resistono sul mercato gli allevamenti con un maggior numero di capi, che possono produrre un’economia di scala. Per contrastare la pressione delle produzioni estere, ad esempio da Paesi come la Polonia, che riesce a produrre con minori costi, dovremmo avere una semplificazione nella burocrazia e maggiori sostegni per gli investimenti. Secondo i dati di Veneto Agricoltura, infatti, nel 2020 l’Italia ha importato dall’estero circa 1.159.000 capi da vita, la maggior parte dei quali sono destinati agli allevamenti. Di questi sono finiti nella nostra regione circa 600.000, quindi oltre la metà, di cui 552.000 con orientamento da carne”.