Mai avrei immaginato che dopo tanti di anni di sacerdozio sarebbe arrivato un giorno in cui il mio vescovo, anzi tutti vescovi del Triveneto, avrebbero chiesto ai propri preti di non celebrare, di aprire le chiese solo per una preghiera personale e non collettiva. Dopo un senso di naturale disorientamento, sei obbligato a pensare cosa stia succedendo, leggi e cerchi di comprendere i diversi decreti legge che, come un tam tam, arrivano sempre più restrittivi di settimana in settimana. Ascolti ogni sera il bollettino di guerra che comunica il numero dei contagiati e scopri che continuano a crescere in modo esponenziale, resti basito.
Davanti a questo scenario chi protesta e chi riflette. Da settimane sono arrivato a concludere: “La Quaresima quest’anno si chiama Quarantena”.
In questa quarantena forzata si può riscoprire il valore del pensare, del silenzio, del digiuno.
Abbiamo tutti avvertito ancora una volta una realtà che spesso tendiamo a nascondere: siamo fragilissimi. La nostra vita dipende da un virus, una forma di vita che può farci del male. Insieme al coronavirus, siamo tutti contagiati dal virus della paura, che fa ancora più danni. L’ignoto e il buio fanno paura.
Ci siamo anche resi conto, in questa situazione, che non siamo soli. C’è qualcuno che pensa a noi! Ci siamo dovuti confrontare con il valore che diamo alla nostra fede. La sospensione delle messe per ottemperare al divieto delle autorità governative e regionali di evitare il raggrupparsi di tante persone ci ha fatto toccare con mano quanto desideriamo ritrovarci insieme a pregare il Signore. Ce ne siamo accorti nel momento in cui ci è stato impedito. Forse abbiamo purificato la nostra fede in Dio. Qualcuno ha invece “bestemmiato” dicendo che il virus è un castigo di Dio. Ma la fede non si sposa mai con la paura. Dio ha solo un modo di agire: l’amore. Perché Dio è amore e non può essere diverso. Infine ci siamo accorti che teniamo molto alla salute e abbiamo capito che il mio star bene dipende anche dallo star bene degli altri. E che il mio tenermi da conto è il modo migliore per favorire la salute di tutti. Lavarmi le mani protegge me, ma protegge anche gli altri. Alcuni sono in quarantena, costretti dal contagio, per non essere di rischio per gli altri. Ma tutti siamo entrati nel tempo di quaresima. La quarantena del Covid-19 ricorda al credente nel tempo di Quaresima di riscoprire che “preghiera” non è solo la messa, ma che perché la celebrazione eucaristica sia feconda, occorre un ascolto personale delle Scritture e una preghiera non solo comunitaria. Può essere anche l’occasione di riscoprire una preghiera in famiglia. Questo tempo di “digiuno”, non scelto ma forzato, da tante cose che consideriamo fondamentali nella nostra vita può diventare un tempo per fare spazio alle cose veramente essenziali. Innanzitutto, per un credente, uno spazio per Dio. La necessità di abbandonare tante cose superflue ci fa toccare, forse anche con sofferenza, la fragilità della nostra esistenza e ci guida a riscoprire la possibilità di vivere in un modo diverso. Ciò che ci viene chiesto in questi giorni – rimanere in casa, rinunciare a quello che, anche di buono e di bello, potremmo fare – è un atto di carità verso noi stessi e verso il prossimo. Soprattutto verso i più deboli e i più esposti. La responsabilità in questo momento non è solo un fatto di legalità e di civiltà, ma anche di fede. Un cristiano vive tutto questo come esercizio della carità, seguendo le orme di Gesù che non è venuto per essere servito, ma per servire; non è venuto per i sani ma per i malati; non ha vissuto per sé stesso, ma per gli altri. L’epidemia in atto può suggerire alla nostra Quaresima come riscoprire una carità concreta che si fa carne nelle scelte concrete di ogni giorno. Ecco il vaccino che la fede ci dona e che non ha bisogno di nessuna sperimentazione. È già stato sperimentato per secoli: l’ascolto-preghiera, il digiuno, la carità. Se come credenti vivremo con fede questo tempo di “prova”, potremo giungere, rinnovati, a celebrare la Pasqua del Signore. E sarà veramente una Pasqua di Risurrezione! Allora anche le nostre assemblee vivranno la festa del sentirsi nuovamente convocate, magari avendo prima dovuto attraversare il tempo in cui sperimentare un ascolto diverso, un digiuno non scelto ma accolto, una carità autentica. Insomma cogliamo il positivo da questa situazione Dio non ci ha lasciati, né abbandonati. *Don Flavio Bertoldi parroco Sacra Famiglia e Assistente diocesano Unitalsi