Sin dalle prime scene di La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, si ha l’impressione di essere stati trasportati in una dimensione parallela, a metà tra immaginazione, incubo e realtà. L’oscillazione tra questi mondi ci accompagna per tutto il film di Guillermo Del Toro e sintetizza forse l’intera sua poetica cinematografica: sempre tesa a evocare qualcosa d’altro, la sua narrazione per immagini cela infatti significati, segreti e misteri che stanno al di là dello schermo e che tocca ai protagonisti svelare – a sé stessi e al pubblico – con i tempi e i modi propri delle storie inscenate.
Un amore per la metafora che ben si abbina alla letteratura soprannaturale della seconda metà dell’’800, ed è per questo che l’omonimo romanzo scritto nel 1846 da William Lindsay Gresham non poteva che andare a genio a un freaks-lover e amante del subconscio umano come il regista messicano. I mostri, in effetti, ci sono e si vedono in Nightmare Alley, che inaugura il suo racconto presentandoci Stanton Carlisle, giovane dal passato oscuro capitato per caso in mezzo a una fiera di giostrai. Assunto come tuttofare, il ragazzo diventa presto apprendista della chiaroveggente Zeena e di suo marito Pete, ex mentalista ora impegnato a ingannare il pubblico con trucchetti da quattro soldi. Il buon giovanotto impara tutto da lui, e dopo aver affinato le sue abilità da mentalista, decide di lasciare la fiera di freaks per unirsi allo scintillante mondo dell’alta borghesia degli anni ’40. L’obiettivo? Ingannarli tutti per sfilare quanti più soldi possibile dai loro portafogli. Già adattato in un film del 1947, il romanzo di Gresham trova nuovo smalto nelle mani di Del Toro, grazia al quale la vena dark-noir del racconto trova spazio in una visione sempre più incubica: se nella prima metà del film l’atmosfera da circo ci offre lo spettacolo di un mondo colorato e fantastico, nella seconda parte la tenebra inizia a farsi largo.
Mosso dalla brama di successo, Carlisle si tramuta infatti in poco tempo nel Grande Stanton Carlisle, mentalista per professione impegnato a illudere i ricconi d’America nei loro eleganti e raffinati club. Un male antico si impossessa pian piano dell’uomo, delineato grazie una scrittura brillantissima che mai manca di curare i dettagli della psicologia dei protagonisti e che trova un’eccellente controparte in un’estetica visiva impeccabile. Ad affiancare Carlisle-Bradley Cooper un cast di all star, che si sintetizza nei nomi di Cate Blanchett, Rooney Mara, Toni Colette, Ron Perlman e Willem Dafoe, tutti stupendamente calati nei loro personaggi-freaks in grado di mescolare luci e ombre, malvagità e compassione.
Dotandosi di sfumature così profondamente e ambiguamente umane da trascinare lo spettatore in una dimensione sospesa eppure concreta, Nightmare Alley vince per la sua verve allegorica capace di simboleggiare la volubilità umana, la sua fragilità e il pericolo rappresentato da quel profondo, ultimo desiderio di appagamento delle pulsioni che è sempre bene tenere a bada se non si vuol finire a navigare in cattive, cattivissime acque.
VOTO 8