Siamo così, “sospesi” in questo tempo che non conoscevamo, che non avevamo mai vissuto. Sì, Ebola, la Sars, ma erano sempre stati eventi che ci avevano in fondo soltanto “sfiorato”, non erano mai entrati così, a gamba tesa, nella nostra beata quotidianità. Il cappuccino e la brioche, l’aperitivo e lo stuzzichino, la pizza in compagnia e il giretto dello shopping, niente e nessuno s’era mai permesso di discuterli. E già che ci siamo, mettiamoci la partita del sabato mattina o del venerdì sera, calcio a 5 o calcio a 11, la giusta adrenalina, la doccia, lo spogliatoio. In fondo, la vita è fatta di tanti piccoli riti, per un bel po’ abbiamo pensato fossero intoccabili. Siamo già alle corde e non sappiamo per quanto ci dovremo restare. Siamo lì aggrappati e dobbiamo farci un po’ violenza per non gettare la spugna. Ma dobbiamo farcela e ce la faremo. Se avessimo dubbi, quando ci capiterà qualche momento difficile, pensiamo ai nostri genitori, ai nostri nonni. Alla generazione che prima di vedere il Coronavirus ha visto la guerra, le bombe, la fame. Pensiamo ai loro racconti che forse abbiamo ascoltato a volte con un po’ di sufficienza. Con la stessa superficialità, probabile, con la quale tutti, ma proprio tutti, abbiamo affrontato questa emergenza. Adesso è il momento di lasciarla da parte, la superficialità. Di essere grandi e maturi per capire che servono rispetto e responsabilità, non sciocchi proclami e qualche maldestro post. Non è questo il tempo dei likes a buon mercato, ma il tempo dell’ascolto. Dell’umiltà. Non siamo onnipotenti e la tuttologia non ci appartiene. Oggi serve la presa di coscienza, immediata, del momento che stiamo vivendo. Senza esagerare, senza drammi, ma, attenzione, anche senza “sconti”. Facciamolo per noi, per i nostri figli, per i genitori, per i nonni. Una volta tanto, forse ci riusciamo, pensiamo davvero che “gli altri siamo noi”.
di R. Tom.