“Senti, io vengo ma stasera si brinda col mio vino, non facciamo scherzi…”.Francesco Moser si presenta col magnum e un’etichetta bene in vista: 51,151. E’ lo
spumante che porta il nome del suo record dell’ora, una delle sua imprese più grandi. “Eh sì, quel giorno a Città del Messico l’ho combinata proprio bella”, sorride. “E pensare che a seguirmi in pista c’erano anche Alfredo Martini ed Enzo Bearzot, quello che si dice, le ciliegine sulla torta…”.
Francesco Moser, uno dei più grandi di ogni tempo, uno di quelli che ha vinto
quasi tutto e quasi sempre. “Una volta si correva tutto l’anno, salivi in bici a febbraio
e scendevi a ottobre, col Lombardia. E dovevi sempre essere protagonista, non
potevi mai abbassare la guardia. Oggi è tutto diverso. Oggi, corrono due-tre mesi
all’anno… E poi, vuoi mettere i nostri tempi? Oggi, sono quasi telecomandati, sempre
in contatto con le radioline, non c’è più il gusto di scegliere, di decidere. Oggi è
quasi sempre il direttore sportivo che decide per te. Ma così, si perde la poesia”.
La ritrovi, se lo ascolti. “In bici ci sono salito a 18 anni. Non è che volessi correre,
ma un giorno Aldo, il più vecchio dei miei fratelli, torna a casa da una corsa e mi dice,
“Francesco, tu potresti correre…”. Mi regalò una delle sue biciclette, cominciai nel luglio del ’69 e da lì non ho più smesso. Prima? Avevamo i campi, le bestie da stalla, si lavorava tutti lì. E’ stata anche la mia palestra, mai fatto pesi, io… Bastava lavorare i campi ed eri a posto”.
Moser e Saronni, già…”Tutto vero, non era una rivalità costruita, era proprio vera.
Diciamo che siamo diventati amici dopo la carriera, una volta l’ho anche portato in cantina da me. Ma allora, eravamo avversari, eravamo diversi, succede nello sport, non solo nel ciclismo. Chi voleva bene a Moser, non poteva mica voler bene a Saronni. E viceversa”.
Moser, lo sceriffo. Il gruppo lo chiamava così, perchè era uno cui piaceva comandare,
duro il giusto, come chi è abituato a conquistarsi tutto, pedalata dopo pedalata. “Se vuoi vincere, devi essere così. Se vuoi guidare una squadra, devi essere così. Se vuoi entrare nel cuore della gente, non devi mai mollare. E noi, si correva per entrare nel cuore della gente, per essere protagonisti”.
Ripassa le sue imprese: “Il Giro, l’ho inseguito a lungo, poi nell’84, a Verona, ci sono riuscito. Ricordo ancora il boato, quando sono entrato a L’Arena.
Il Mondiale a San Cristobal, il duello con Thurau, con Bitossi e Saronni dietro, costretti a frenare gli avversari. E poi, le tre Parigi-Roubaix. C’era un feeling speciale con questa corsa. La vinci se non hai paura
di affrontarla”. Finisce con un piccolo segreto: quando il piccolo Francesco quasi quasi diventa prete: “Ma dai, una volta era così, nei piccoli paesi. Andavi al catechismo, il prete diceva alla tua famiglia, “…provate a mandarlo in seminario”.Mi ricordo che per 15 giorni pensavo di andarci. Quando venne il momento, il giorno in cuidovevo entrare, scappai da casa e per un giorno intero non mi trovarono più”.
Raffaele Tomelleri