E’ opinione diffusa fra i ricercatori che l’aumento delle malattie degenerative degli ultimi decenni sia legato alle profonde modificazioni dell’ambiente. È un punto sul quale non possiamo far finta di niente, ma, anzi, deve essere affrontato seriamente, perché ormai “il pianeta è sull’orlo dell’abisso” (A. Guterres).
Le variazioni climatiche degli ultimi mesi ci ricordano che il cambiamento climatico è un processo reale, al di là di qualsiasi scetticismo o atteggiamento negazionista.
Tra le principali conseguenze sono stati segnalati la destabilizzazione della malattia mentale e l’aumento di malattie infettive, a causa dell’innalzamento della temperatura dell’acqua, e la situazione è destinata a peggiorare se non saranno attuati dei correttivi, ai quali anche la Sanità può e deve contribuire.
L’inquinamento da particelle fini aumenta il rischio di sviluppare malattie degenerative gravi e tumori; d’altro canto, il rispetto della soglia di esposizione secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità aumenterebbe l’aspettativa di vita globale di oltre due anni.
Infatti, è poco noto pure tra gli addetti ai lavori il fatto che il settore sanitario contribuisce alla produzione del 5% di gas serra (che è il doppio delle emissioni attribuite al trasporto aereo mondiale). Per esempio, una risonanza magnetica produce l’equivalente di CO2 di un’automobile che percorre 145 km e se utilizzata per 12 mesi produce una quantità di CO2 pari a quella di un’automobile che ne percorre 500mila. Anche alcuni gas anestetici e i puff per l’asma hanno una significativa impronta carbonica.
Un tema che dovrà essere affrontato quanto prima è quello di migliorare l’appropriatezza delle cure. Infatti, le prestazioni inappropriate (in Veneto la prescrizione di RMN è la più alta d’Italia), inutili o addirittura dannose arrivano a consumare fino al 30% delle risorse destinate alla Sanità. Questo non significa ridurre l’accuratezza dell’iter diagnostico-terapeutico, ma prendere coscienza che le nostre prescrizioni hanno anche un impatto sull’ambiente e di questo dovremmo tenere conto nella nostra pratica clinica, facendo attenzione a quelle che sono state riconosciute “inutili” oppure che rischiano di essere un doppione. Infine, iniziative di telemedicina e di comunicazione digitale, limitando i trasferimenti, potranno avere ricadute favorevoli sull’ambiente.
Purtroppo, nonostante la rilevanza del problema e la fiducia di cui godono presso la maggior parte della popolazione, che li considera fra i professionisti più affidabili, i medici finora non hanno preso una posizione definita. Eppure sono una categoria importante: potranno agire da opinion leader non solo nell’opera di sensibilizzazione dei pazienti, ma anche stimolando le istituzioni ad attuare, di concerto con il mondo scientifico, politiche di prevenzione che contrastino i fattori di rischio ambientali. Se il cambiamento climatico è una grande minaccia per la salute, occorre evitare che si trasformi in una crisi sanitaria.
Carlo Rugiu