Gli occhi lucidi, una, due, dieci volte. A ogni applauso, a ogni immagine, ogni pedalata che lo schermo rimanda. Lui, il grande airone, le sue imprese, la nostra malinconia. E lì, al tavolo, il “piccolo” Fausto Coppi, suo figlio. Il figlio della Dama Bianca, il figlio dello scandalo. “Mamma – racconta – Faustino Coppi – ha vissuto nel ricordo di papà. Non c’è stato giorno in cui non mi abbia ricordato papà, un episodio, un gesto, qualcosa che me lo facesse conoscere. Papà è mancato quando avevo 4 anni, ho ricordi molto vaghi, se non per quello che è stato scritto, per tutti i racconti che mi hanno fatto, ma soprattutto per mamma. Ecco, quando se n’è andata anche lei è come se avessi perso un’altra volta anche papà”. Impossibile non emozionarsi. “Per quel poco che ricordo, papà era dolce, buono, allegro. Magari riservato, non certo triste come a volte viene descritto. E poi, io ricordo le sue colazioni, prima di andare ad allenarsi. Tutti i giorni, non ne saltava uno. Mi ricordo, vedevo il tavolo pieno di cose da mangiare e forse mi chiedevo come mai papà mangiasse cosi tanto, prima di andare a…lavorare”. Già, a lavorare, come dice lui. “Che lavoro fa, tuo papà?” gli chiedevano i suoi amici, che, come lui, non riuscivano bene a capire chi fosse quell’uomo sempre in bici, sui giornali. Quell’uomo di cui parlavano tutti. E Faustino, col sorriso furbo, trovò la risposta più bella: “Mio papà fa il campione del mondo”. Bellissimo. Eppure non è stato semplice, essere il figlio di Coppi. “Se penso che mamma è stata perfino in carcere, se mi ha fatto nascere in Argentina perchè potessi portare il nome di mio padre, se ripenso alle difficoltà di sistemare i documenti, a quello che devono aver sofferto per vivere il loro amore, mi sembra tutto così assurdo. In un mondo come questo, in fondo, che colpa dev’essere se due persone si vogliono bene? Credo che papà e mamma debbano aver avuto un grande coraggio, per vivere la loro storia, come hanno fatto. Disposti a tutto, pur di non rinunciare alla propria vita”. Sa di avere un’eredità pesante, la vive con leggerezza, con l’orgoglio di un nome che è un simbolo in tutto il mondo. Un simbolo di un’Italia che cercava riscatto dopo la guerra e che si era affidata anche a quell’uomo, per pedalare verso il futuro. Lui, con Bartali, esempi di un’Italia felice, di un’Italia vincente. “La borraccia?” sorride guardando la foto che è diventata un poster dell’epoca. “Se lo chiedi a me, ti dico che l’ha passata papà a Gino. Ma se lo chiedi ai figli di Bartali, ti dicono che è stato Gino a passarla a papà…”. Papà che gli faceva regali, papà che l’ha messo in bici e gli ha insegnato a pedalare. Papà che rivive in quegli occhi lucidi. In quell’applauso senza fine. “Grazie per aver ricordato il mio indimenticabile papà”, scrive sul foglio. E sullo schermo, ripassano le immagini di “un uomo solo al comando”. Lo sarà per sempre.
di Raffaele Tomelleri