A seguito dello scoppio della guerra in Ucraina, i mercati finanziari e, di riflesso, le imprese del settore energetico hanno già da un mese incorporato nei prezzi lo scenario peggiore, ovvero la riduzione dell’offerta di gas nel caso in cui la Russia interrompa la fornitura all’Europa. Una cosa molto simile accade nel mercato del grano dove il sistema finanziario considera come scenario peggiore la possibilità che la Russia arrivi ad Odessa precludendo l’accesso al mare all’Ucraina, dunque controllando di fatto buona parte dell’offerta di grano ucraino, trasportato principalmente via mare: anche qui nel prezzo si incorpora lo scenario peggiore ovvero quello in cui la Russia decida di bloccare il flusso di grano via mare verso l’Europa.
Questi fatti, uniti all’aumento dei prezzi delle materie prime dovuto alle frizioni nelle catene di distribuzione causate dalla pandemia, provocano uno “shock di offerta negativo” ed il contemporaneo manifestarsi di inflazione e recessione. A questo disastro annunciato, si aggiunga poi la svolta delle banche centrali occidentali verso uno stop accelerato alle politiche monetarie espansive ed il conseguente aumento dei tassi d’interesse.
Nei giorni scorsi, poi, Putin ha annunciato le nuove intenzioni russe: niente stop alle forniture di gas all’Europa, ma saranno accettati solo pagamenti in rubli. I mercati si calmeranno e il prezzo del gas tornerà a scendere? Difficile. Oppure decideremo di interrompere gli acquisti di gas russo? Impensabile: questo scenario porterebbe all’immediato razionamento dell’energia, cosa che, acuendo ancor di più le tensioni con la Russia, rischierebbe di trascinarci ulteriormente in un conflitto senza fine.
Il fatto che i russi possano vendere il gas in rubli unito ai nuovi accordi sull’esportazione tra Russia e il resto del mondo, farà sì che i rubli saranno più richiesti dato che gli europei dovranno pagare in rubli e la Russia esporterà di più in Cina, India, ecc. Per queste ragioni il rublo si apprezzerà tornando al valore pre-guerra, vanificando completamente l’effetto delle sanzioni e rimozione da SWIFT.
Se il 24 febbraio, giorno dell’invasione, un euro valeva 75 rubli, il 7 marzo per un euro ci volevano 148 rubli. La decisione di Putin ha portato nel giro di poche ore a un apprezzamento del rublo, che nel pomeriggio del 23 marzo si attestava a 108 nei confronti dell’euro e 98 nei confronti del dollari (contro i 139 del 7 marzo).
E l’euro? Saremo costretti ad aumentare l’offerta di euro nei mercati valutari per acquisire rubli: l’euro si deprezzerà ulteriormente. Poco male direbbe qualcuno dato che sarebbe un toccasana per le nostre esportazioni. Ma in questo scenario di inflazione da materie prime un deprezzamento dell’euro aggraverebbe il costo delle importazioni producendo altra inflazione e andando ad annullare completamente l’effetto deflattivo delle prossime politiche monetarie restrittive della BCE lasciando solo spazio all’effetto recessivo.
Insomma, in un mondo sempre più grande e complesso Europa e America rischiano di essere sempre più piccole ed in difficoltà; e lo saranno ancora di più se il primo esportatore di petrolio (Arabia Saudita) concluderà l’accordo con il primo importatore (Cina) per scambiare in Yuan.
Marco Vantini