Mennea, quei suoi 200 metri senza fine La “freccia del Sud”, campione in pista e fuori, con quattro lauree e i successi in politica L’oro di Mosca ‘80, resta ancora oggi una delle imprese più grandi dello sport azzurro

Lo chiamavano “La freccia del Sud”, veloce nelle gambe e di testa. Una vita costellata di successi, ad eccellere sia in pista che nella corsa di tutti i giorni. Come atleta, ma anche come politico e avvocato. Laureatosi prima olimpionico a Mosca e poi all’università, una volta terminata la carriera agonistica, con ben 4 lauree tra giurisprudenza, scienze motorie, scienze politiche e lettere. Pietro Mennea nacque a Barletta il 28 giugno 1952: il padre sarto e la madre casalinga, con 3 fratelli e una
sorella. Uno dei primi a scoprire il suo talento fu il professore di educazione fisica delle scuole medie.
L’esordio di una lunga carriera internazionale invece partì nel ’71, quando debuttò con un terzo posto ai Campionati Europei, mentre la prima medaglia olimpica arrivò con il bronzo a Monaco ’72. Il giovane Pietro era un tipo schivo, scontroso e sempre schietto come gli aveva
insegnato papà, tanto da voler inizialmente rinunciare alle successive Olimpiadi del ’76. La pressione dei tifosi lo “costrinse” a parteciparvi, non riuscendo però mai in quell’edizione a salire sul podio. Da tanta frustrazione, partirono la sua rinascita e gli anni che lo portarono di diritto nella storia dell’atletica leggera. Nel ’79 alle Universiadi infatti, sulla pista di Città del Messico, stabilì il
nuovo primato del mondo nei 200 metri piani con il tempo di 19”72, infranto solo 17anni più tardi da un “certo” Micheal Johnson (record che dopo oltre 40 anni rimane ancora imbattuto tra gli sportivi europei). E nel 1980 arrivò nella stessa specialità, il tanto atteso oro alle Olimpiadi in terra moscovita: con quell’esaltante rimonta tipica delle sue prestazioni, che gli permise di metter la testa
davanti a Allan Wells per soli 2 centesimi di secondo, mentre Paolo Rosi urlava in telecronaca il famoso “recupera, recupera” a tutta la nazione. Un ragazzo normale, della provincia di Bari, finito in cima al mondo. Era la definitiva consacrazione della forza di volontà, che per Mennea voleva dire sacrificio e allenamenti estenuanti. Nel suo palmarés c’è di tutto, tra titoli europei, un argento mondiale, 528 gare per 52 presenze in Nazionale e con la partecipazione alla finale di Los Angeles ’84, fu il primo atleta di sempre a collezionare il primato di 4 finali olimpiche consecutive. Da lì lo scatto verso la sua seconda vita, e dopo vari annunci di ritiro, quello definitivo arrivò verso la fine degli anni ’80. In una recente canzone, Samuele Bersani lo cita dicendo: “Che vita, Pietro Mennea e Sara Simeoni son rivali alle elezioni”. Già, perché poi partì anche la carriera politica: eurodeputato a Bruxelles dal 1999 al 2004, relatore del rapporto sullo sport votato a Strasburgo nel 2000, nonché da sempre in prima linea per una legge comunitaria che
proibisse l’uso del doping. Era finito pure nel calcio, che amava profondamente,come direttore generale della Salernitana. Per poi tornare in definitiva, alla vecchia passione per l’avvocatura. Voleva dare, voleva trasmettere,ma il mondo dello sport non era mai riuscito a sfruttarlo come una risorsa. Mennea ha vissuto tante vite, fino a che un tumore lo fermò definitivamente il 21 marzo di 8 anni fa, poco prima di
compierne 61. La moglie Manuela, in un’intervista ha dichiarato: “Ha affrontato con dignità straordinaria la sua malattia, e alla gente che lo incontrava in ospedale diceva sempre ‘ho accompagnato un parente’.

Fabio Ridolfi