Skay, come ti chiamano i tuoi compagni, raccontaci un po’ di te.
“Sono nato a Gostivar, in Macedonia, nel 1994. Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti in Italia nel novembre del 2000, a Sover, un paesino della Val di Cembra a Trento. Qui ho cominciato a tirare i primi calci al pallone nella polisportiva Val Cembra. All’età di 14 anni mi sono trasferito a Levico Terme in Valsugana, dove facevo avanti indietro per un anno per andare agli allenamenti. Poi per comodità mi sono spostato in una squadra di 1° categoria, il G.S.D. Roncegno, esordendo a 15 anni in prima squadra e segnando 27 reti in 16 partite. La stagione successiva sono stato acquistato dall’U.S. Levico Terme, squadra di Eccellenza, dove ho collezionato ben 68 reti con la juniores passando subito in prima squadra a 17 anni”.
Poi hai avuto un momento di crisi…
“Dopo circa 80 presenze in prima squadra, venne esonerato il mister che mi lanciò tra i grandi e io finì fuori squadra. Me ne sono stato un annetto in Seconda Categoria in una squadra affiliata. Poi un giorno, avevo 20 anni, ho deciso di cambiare vita e partire per l’estero in cerca di maggiore fortuna, senza avere una meta ben precisa o un punto d’appoggio. Scelsi la Germania, puntai il dito sulla mappa e atterrai a Dortmund. Solo e non conoscendo la lingua, ho provato vari lavori e ho fatto gavetta in diverse squadre arrivando a giocare in Serie D tedesca. Dopodiché mi arrivò una chiamata da un mio vecchio manager, chiedendomi se avessi voglia di provare un’esperienza nella Serie A macedone: così finii al Makedonjia George Petrov, una squadra che svolgeva le qualificazioni per l’Europa League. È stata molto dura per il fatto psicologico, il primo giorno nello spogliatoio non era l’ambiente a cui ero abituato. Lì era un vero lavoro, la gente ti guardava un po’ storto, aveva paura che gli rubassi il posto. Così trovando pochissimo spazio, dopo aver fatto solo due partite, ho deciso di tornare indietro, in Germania, in Serie D tedesca nel T.S.V. Buchbach”.
Fino all’arrivo del Covid e tutto si è bloccato.
“L’anno scorso, a causa dell’esplosione della pandemia, siamo stati tre mesi fermi, senza paga ne niente, così ho deciso di tornare a casa dalla mia famiglia qui in Italia, a distanza di 6 anni dalla mia partenza. Ho continuato a tenermi in forma e ad allenarmi in una squadra di Eccellenza, con la quale stavo per firmare, ma di punto in bianco il padre del mio migliore amico mi ha chiamato, dicendomi che c’era questo progetto di Pellissier, che stavano organizzando dei provini a Verona. Partii il giorno seguente subito dopo lavoro. Le selezioni sono state brevi ma intense, lì per lì la pressione non l’avevo sentita, essendo abituato in certi campionati. Una sera mister Allegretti mi chiama e mi dice: “Guarda ragazzo, devo darti una brutta notizia. Ti abbiamo preso. Mi raccomando, già dal primo giorno dovrai dimostrare chi sei”.