«Stiamo andando bene, perché esistono già tre vaccini sicuri ed efficaci, e presto ne arriveranno molti altri. Ma se non facciamo tutti uno sforzo in più, non è certo che finirà bene, per lo meno a breve termine». ll prof. Remuzzi, direttore dell’Istituto Negri di Milano, ha le idee piuttosto chiare su questa nuova fase del virus, caratterizzata, anche, dalla presenza del vaccino.
Professor Remuzzi, cosa la preoccupa di più?
“Anche quando funzionano, i lockdown mascherati e le zone di diverso colore sono pur sempre l’ammissione di un fallimento nella lotta al virus. Il vaccino invece è la soluzione. Insieme all’immunità naturale, ma quella nessuno può dire quando arriverà».
Servono sforzi maggiori?
“Non bisogna perdere un minuto. Stiamo vaccinando 400 mila persone alla settimana. Immaginiamo pure di arrivare a 700 mila. Non basta».
Cosa bisogna fare?
“Il primo problema è la produzione. Pfizer ha già detto che non ce la fa a coprire il fabbisogno. Bisognerebbe estendere l’accordo che AstraZeneca ha fatto con Serum Institute of India ad altre compagnie, e mettere insieme tutti i siti produttivi del mondo. Oltre che in India e in Cina, ce ne sono in Sudamerica, Usa, Germania, e la Francia si sta attrezzando».
Una regia unica?
“Qualcosa del genere. Insieme, si possono fare miliardi di dosi e un piano affidato all’Oms e alle organizzazioni internazionali dei vaccini permetterebbe di far arrivare il vaccino dove serve di più».
Scenari da grande alleanza, l’Italia dove si colloca?
«Abbiamo un’industria farmaceutica che ci colloca al primo posto in Europa e fra i primi al mondo dopo India e Cina: fabbrichiamo l’11% della produzione mondiale di farmaci. Ma siamo fuori da questo gioco enorme».
Non è tardi per pensarci?
«Se il Covid sparirà nella sua forma più acuta, sarà perché i suoi vaccini resteranno a lungo nelle nostre vite. Per anni, forse decenni. Con rispetto, mi chiedo: ma in questa discussione sul Mes non si trovano 2-3 miliardi da destinare a un sito italiano capace di produrre i vaccini?».
La sua proposta?
«Meglio vaccinare un grande numero di persone con una dose singola che un piccolo campione con due dosi. Si può ipotizzare di non fare il richiamo prima che siano passati 120 giorni. Il livello di protezione indotto dalla prima dose del vaccino è comunque molto alto».
A lei sembra così alto il 50 per cento dell’immunità?
«Alcuni lavori scientifici, ultimo quello appena pubblicato sul New England Journal of medicine e riferito al vaccino Pfizer, e la presa di posizione del comitato inglese su vaccini e immunizzazione, dimostrano come la quasi totalità dei contagi avviene nei primi 10-12 giorni dalla somministrazione della prima dose. Dopo, si ha una protezione molto alta, fino al 90%».
La seconda dose non serve?
«Bisogna farla, ci mancherebbe. Ma non c’è evidenza che fare il richiamo subito o dopo qualche mese sia diverso. A mio parere, quando si partirà con una vera e propria campagna vaccinale, sarebbe meglio aspettare 120 giorni per la seconda puntura».