Medaglia d’onore a Renato Frigo. Nel giorno della memoria spunta una foto ingiallita E’ stato il figlio Giancarlo a riannodare i fili del ricordo ritrovando l’amico Dante

Nel giorno della memoria, durante la cerimonia alla Gran Guardia, sono state assegnate le medaglie d’onore concesse dal Presidente della Repubblica a cittadini italiani civili e militari deportati e internati nel lager nazisti. Una di questa è stata consegnata a Renato Frigo. Per ricordare gli eventi dell’8 settembre del 1943 il figlio Giancarlo Frigo ha tirato fuori dai ricordi uno scritto del padre Renato che rievoca quei giorni. Ne riportiamo qualche stralcio per ricordare la tremenda esperienza della guerra vissuta dai giovani di allora. La ricerca per trovare il commilitone del padre l’ha fatta lo stesso Giancarlo Frigo dopo aver letto quanto aveva trovato scritto. “Mi informai presso parenti- racconta Gianfranco Frigo- che mi dissero dove andare, lo trovai all’osteria dalle Belgie, ora chiusa, proprio a fianco della chiesa di Custoza in quel suggestivo immobile immutato nel tempo, seduto in un angolo del locale appena illuminato, li porta bene lui i suoi anni e se gli chiedi di Renato, si alza di scatto, mette la mano nella tasca posteriore dei calzoni, estrae il portafogli e ti mostra una foto orma ingiallita dal tempo e ti dice: siamo io e Renato a Fiume nel 1943’’. La foto è quella pubblicata su questa pagina. Ma ecco il racconto in presa diretta di Renato Frigo. “Venne il giorno della chiamata al servizio militare, destinazione Fiume, allora l’Istria era italiana, una caserma di duemila guardie di frontiera. Dopo qualche mese di vita militare, sul far del giorno venimmo schierati nella grande piazza dei raduni mattutini, di fronte a noi alte cariche militari della caserma, scagnozzi graduati in rappresentanza delle camice nere e ambigui figuri dell’esercito tedesco, che avevano appuntato SS sul braccio. L’8 settembre del 1943 l’Italia aveva firmato l’armistizio e i tedeschi erano divenuti in un botto da alleati, nostri nemici e occupanti. Chi intende liberamente aderire alla repubblica di Salò, si sposti sul lato destro della piazza, gridò una voce al megafono. Cinque, dieci, venti, trenta, quaranta commilitoni si spostarono, una buona parte erano graduati. La stessa voce: ripeto, chi intende aderire alla repubblica di Salò si sposti sul lato destro, gli altri verranno presi in consegna dall’esercito Tedesco, fatti prigionieri e deportati in Germania. Avevo diciott’anni e qualche mese che se non avessi avuto i baffi sarei sembrato ancora più giovane, una preparazione scolastica elementare, a undici anni ero andato a fare il famiglio nell’azienda del nonno, poi avevo lavorato nei campi di casa e accudito le mucche e conciato pelli, io rimasi fermo immobile, mentre alla seconda chiamata risposero almeno la metà dei miei commilitoni. Il giorno dopo una tradotta militare partì da Trieste, più di mille militari italiani prigionieri deportati in Germania, schiacciati come sardine per un viaggio che durò tre giorni e tre notti, mi sembrò un viaggio eterno, senza cibo e senza acqua, per fortuna che il sole non picchiava sulle lamiere arrugginite dei vagoni’’.