Questo è oggi l’Afghanistan, un paese dove le donne vengono per ultime: una tomba dei diritti civili.
Mahjubin Hakimi, giocatrice della nazionale giovanile di volley in Afghanistan, è stata decapitata.
È stata giustiziata perché al posto del velo islamico indossava un sorriso da ragazza normale.
Questo il drammatico e feroce rituale di un regime Taleban che dispensa la morte a quelli che non si comportano come loro vogliono.
Mahjubin era colpevole di essere nata donna, con l’aggravante che praticava uno sport, la pallavolo.
Secondo loro, la cosa era già di per sé peccaminosa per una femmina, e che addirittura si permetteva di giocare senza hijab.
In fine Mahjubin apparteneva anche alla minoranza hazara, ovvero un’aggravante razziale che ne giustifica ulteriormente il gesto crudele.
Più fortuna hanno avuto le sue compagne di squadra, riuscite nei mesi scorsi a fuggire dall’Afghanistan occupato dai Taleban e a mettersi in salvo oltre confine. Purtroppo, lei era rimasta bloccata nell’inferno di un Paese. L’Afghanistan ha goduto per poco tempo della civiltà, ma poi da quando gli americani hanno abbandonato il Paese, è di colpo ritornato nell’oscurantismo barbaro, dove anche andare a scuola o ascoltare musica, per una donna, è un crimine da punire con la morte.
«Un minuto di silenzio in memoria di Mahjubin Hakimi sarà osservato su tutti i campi della pallavolo nel fine settimana», ha disposto ieri il presidente della Fipav, Giuseppe Manfredi, in accordo con il presidente del Coni, Giovanni Malagò, e la sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali, «il lutto sarà osservato da tutta la pallavolo italiana, a partire dalla massima serie fino ai campionati regionali e territoriali». Bene, ma meglio sarebbe se quel minuto di silenzio fosse raccolto da tutti gli sport.
La morte disumana di questa ragazza non riguarda il volley, ma il nostro essere umani.
Forse il mondo intero dovrebbe sentirsi in colpa per la morte di Mahjubin. Non è ammissibile che nel 2021 una ragazza sia uccisa perché pratica una attività sportiva. Lo sport dovrebbe rendere le persone libere e non vittime. Lo sport deve contribuire ad abbattere tutte le barriere sociopolitiche.
Aiutiamoli a casa loro direbbe qualcuno: ma invece di dire sciocchezze, perché non proviamo a sforzarci e accogliere quelli che fuggono da quell’inferno.
Dare sostegno alle agenzie che soccorrono la popolazione, senza strumentalizzare il tutto politicamente, sarebbe un primo passo importante.
Trovo improponibile qualsiasi tentativo di minima assoluzione ad un regime barbaro e assassino come quello talebano.