Monselice, dove il Giro d’Italia è arrivato venerdì scorso, è terra di “risi e bisi”, radicchio e asparagi, ma anche di vini che sui Colli Euganei si traducono in rossi come Cabernet e Merlot e in bianchi come Pinot, Manzoni e una chicca come il Fior d’Arancio, frutto prelibato del Moscato Giallo. Lo si trova in versione spumante, secco e passito. Una delizia. Tre volti, che ricalcano a fotocopia Matteo Lovato, classe 2000, il ragazzo nato e cresciuto a Monselice che partita dopo partita si sta imponendo con la maglia del Verona. Bollicina, perché in campo ha l’effervescenza che la giovane età gli impone; secco, perché quando serve, non ci pensa due volte a essere deciso e risolutivo negli interventi; dolce nettare, perché il piede ce l’ha bello morbido. Un difensore completo che ricorda certi “liberi” della scuola olandese e belga degli anni 70, quelli che difendere va bene, ma al pallone devi dare del tu: testa alta, calma olimpica, osservi e imposti. Fisico, tecnica e carattere.
Al Verona Matteo è arrivato lo scorso 30 gennaio in Zona Cesarini del mercato di riparazione invernale: «Quando mi han detto che sarei dovuto andare a Verona, son subito salito in macchina e sono partito: visite mediche e via al campo per il primo allenamento». Era al Padova, la squadra dove è cresciuto e ha fatto la trafila nelle giovanili. Il debutto tra i professionisti, guarda caso proprio a Verona, al Gavagnin il 25 agosto dello scorso anno per la prima di campionato di serie C contro la Virtus di Gigi Fresco.
Diciassette presenze col Padova, poi la chiamata di Tony D’Amico: la prima convocazione alla ripresa del campionato dopo la sospensione contro il Parma, e quindi gli otto minuti che ricorderà per tutta la vita, nel finale di partita contro l’Atalanta al Bentegodi. «Bravo el buteleto» i commenti unanimi all’indomani al bar dello sport. Il biondino è fiorito alla casa madre di rimpiattino col Genoa, all’under 17 dove come compagno di squadra aveva Eddie Salcedo che ora ha ritrovato a Verona: «Son passati tre anni, ma è come non ci fossimo mai persi di vista» spiega. Ivan Juric è il maestro ideale per continuare a crescere: «Sa infonderti la grinta giusta, ti fa lavorare tanto per migliorarti. E io di lavoro ne devo fare molto. Ho trovato una società con le idee chiare, ben organizzata. La serie A è un punto di partenza, non di arrivo. Quando son partito da casa, i miei genitori mi han detto “vai e resta il ragazzo che sei”. Per me questa è la cosa più importante».
A Verona qualcuno già lo accosta a Marash Kumbulla; non corriamo troppo, ma la strada sembra essere quella giusta: «Quante sfide con Marash. Sono contento che stia riuscendo a imporsi. È forte: se lo merita. Mi piacerebbe seguire le sue orme: per me lui rappresenta uno stimolo e un modello da seguire. Sarebbe un bel percorso» racconta. Ieri sera contro i Genoa Juric lo ha schierato al centro della difesa orfana di Günter; bella responsabilità. Il ragazzo è stato il migliore in campo. Ha la tranquillità e la serenità di chi le ossa se l’è già belle che fatte, e invece ha appena vent’anni. L’indizio non sarà una prova, ma sul futuro di Matteo Lovato una scommessa ci sentiamo di farla. E alla sua salute brindiamo con un calice di Fior d’Arancio. D’annata, ovviamente.
Elle Effe