Mentre l’onda del contagio si ingrossa scricchiolano pure i test rapidi, considerati dalle Regioni la nuova frontiera della lotta al virus. Il siluro parte dal laboratorio di microbiologia e virologia dell’Università di Padova, diretto dal professor Andrea Crisanti, che il 21 ottobre scorso ha comunicato alla Regione Veneto i risultati di uno studio sul test rapido antigenico Abbott, condotto insieme al reparto malattie infettive e al pronto soccorso dell’ospedale di Padova.
Sovrapponendo i risultati dei tamponi rapidi con quelli di un tampone molecolare classico, eseguito contemporaneamente sugli stessi pazienti, sarebbero sfuggiti al vaglio dei nuovi test antigenici 18 infetti su 61, evidenziando «una sensibilità di circa il 70%, inferiore a quella dichiarata» dalla Abbott. In pratica, secondo Crisanti, con il test rapido 3 positivi su 10 potrebbero risultare negativi e continuare a diffondere l’infezione senza alcun controllo. Falsi negativi: i più pericolosi perché in grado potenzialmente di creare nuovi focolai di cui non si sa nulla.Lo studio è stato condotto su una platea di 1593 pazienti e i risultati discordanti non riguardano solo soggetti con una bassa carica virale, rispetto ai quali è noto che i test rapidi avrebbero una scarsa sensibilità.
«Tra i campioni risultati negativi al test antigenico — sottolinea Crisanti — vi sono ben 6 casi di pazienti con carica virale molto elevata», i famosi super-spreaders o comunque possibili super diffusori. Tanto che la virologia di Padova ha deciso «in autotutela di non emettere più referti negativi» basati su quei test rapidi.
Il Veneto è la Regione che più di tutte ha puntato sulla diagnostica antigenica rapida: «È su nostra sollecitazione — ha rivelato il presidente della Regione Veneto Luca Zaia il 6 ottobre scorso — che il ministero ha validato tutto». L’iniziativa è partita dal laboratorio di microbiologia di Treviso, dove il coordinatore Roberto Rigoli ha sperimentato i nuovi test e ottenuto la collaborazione dell’Istituto Spallanzani di Roma.
«I test rapidi antigenici che si stanno effettuando presso gli scali romani di Fiumicino e Ciampino e presso gli ospedali pubblici e i drive-in del Veneto si sono dimostrati efficaci ed efficienti per l’attività di screening — affermavano in una nota congiunta del 24 agosto scorso il dottor Rigoli e la dottoressa Maria Rosaria Capobianchi dello Spallanzani — Sono stati effettuati sia in Veneto che nel Lazio migliaia di test di conferma con risultati sostanzialmente sovrapponibili».
E ora con un maxi appalto da 148 milioni di euro, sette regioni italiane hanno chiesto la fornitura di enormi quantità di test antigenici rapidi: oltre al Veneto, che coordina l’appalto, anche la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Lazio, il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia e la provincia autonoma di Trento.
È ormai chiaro che la nuova strategia prevede l’impiego massiccio di test rapidi e un uso molto limitato dei tamponi. Anche la conferenza delle Regioni ha chiesto al ministro della Salute Roberto Speranza, proponendo una riorganizzazione dell’attività di tracciamento, l’impiego dei test rapidi antigenici nelle farmacie e negli ambulatori e l’utilizzo per il contact tracing «di tutti i test validati nei paesi del G7». Ma a che prezzo?