Nel nostro tempo, siamo abituati a sentire molto spesso la parola cultura, declinata in molti modi. È già capitato di ragionare su queste pagine del concetto di “relativismo culturale”, che ha molteplici sfumature; ma lo stesso lemma cultura non è privo di problematiche. Non è neppure ben definibile cosa sia, in effetti, la cultura di un popolo, o quali ne siano i limiti.
La cultura italiana è qualcosa di vagamente definibile, si comprende a cosa ci si riferisce, ma con che grado di esattezza?
Se si intende un sistema condiviso composto di storia, valori etici, preferenze di qualsiasi tipo, gastronomia, arte e letteratura, si può dare una definizione di massima, tenendo conto che questo macro-insieme può essere soggetto, inevitabilmente, a fratture e suddivisioni.
Due cose, tuttavia, devono risultare chiare: la cultura non è qualcosa che esiste, ma è qualcosa che si crea, anche a livello individuale, nell’immaginario di ciascuno. La cultura, non è, quindi, un concetto necessariamente condiviso da chi ne fa nominalmente parte, né è qualcosa di assoluto, che va difeso a ogni costo e che vada ritenuto immodificabile.
Emerge, qui, il secondo punto: se la cultura viene pensata come qualcosa di statico, allora è inevitabile che esso si presta a comparazioni e valutazioni, per non dire alla costruzione di scale di valore. Date due culture, è implicito che si possa metterle a paragone, e che una risulti superiore – secondo criteri sempre dibattibili – all’altra.
Il notissimo antropologo Claude Lévi-Strauss propose, proprio su questa scia, un concetto molto discutibile: la contrapposizione tra culture “calde” e culture “fredde”, dove le prime, dinamiche e espansive, sarebbero state inevitabilmente migliori, e in grado di sopravanzare quelle più statiche.
Nella pratica, Lévi-Strauss pensava alle differenze tra una cultura come quella europea, e altre culture di stampo indigeno, quali quelle caratteristiche delle popolazioni sudamericane. Un’idea di questo tipo ha una chiara tendenza al colonialismo, appunto, culturale, dal quale oggi neppure noi siamo esenti. Il concetto di cultura, implicitamente esclusivo e delimitante, può essere utile come categoria didattica, o come suddivisione di massima.
Se, però, esso diventa un’arma, permetterà di escludere il diverso per il fatto stesso di essere diverso, e secondo criteri, come si è detto, troppo vaghi per non essere criticabili: una prospettiva che, a maggior
ragione in un mondo globalizzato, andrebbe evitata.
Effe Emme