Urbanistica di genere, c’è ancora tanto da fare in provincia di Verona. La progettazione, i progettisti, persino la toponomastica sono al maschile, ma anche i marciapiedi delle strade, ad esempio, sono troppo alti e stretti per consentire una mobilità adeguata ai molteplici ruoli rivestiti dalle donne nella loro quotidianità. Manca, inoltre, una pianificazione che elabori le Mappe di genere volte a dare indicazioni durante la progettualità e la realizzazione concreta degli assetti urbani sulla base delle esigenze femminili.
È quanto emerso nell’incontro organizzato dalla Commissione Pari Opportunità dell’Ordine degli Architetti di Verona con il sostegno del Comune di Verona “Urbanistica di genere”. Rigenerazione al femminile”.
Dopo i saluti del Presidente dell’Ordine scaligero, Matteo Faustini, Elena Patruno, presidente della Commissione Pari Opportunità dell’Ordine ha aperto i lavori citando come “in Italia e in provincia di Verona l’urbanistica parli maschile. Sono solo 4 donne su 100 professionisti ad occuparsi di pianificazione. Il livello di attenzione per le donne nell’urbanistica in generale è dimostrato anche dalla toponomastica. A Verona, su 2023 vie, soltanto 61 sono quelle intestate a donne, di cui 23 sono Madonne e sante. La nostra Commissione ha all’ordine del giorno proprio l’obiettivo di intitolare le vie a donne professioniste. Non solo anche alle libere professioni: a Verona ci sono viali del commercio, dell’industria o dell’artigianato, per citare alcuni esempi, ma il viale delle professioni non c’è”.
All’incontro sono intervenuti anche l’assessora Ugolini alla cultura del Comune di Verona, Marta Ugolini, che ha portato i saluti dell’assessora all’Urbanistica e vice sindaca, Barbara Bissoli, Francesco Rodighiero (Design For All), Florencia Andreola (Sex and the City e Women for lighting) con Giorgia Brusemini e Elettra Bordonaro.
In sintesi, il messaggio trasmesso dai numerosi interventi dei relatori è che la ricerca progettuale nell’ambito della pianificazione urbana e dell’architettura intorno a questo tema sia un problema intersezionale, evidenziando che il soggetto non è mai neutro, promuovendo la diversità delle comunità, la convivenza pacifica delle categorie e che la cura dello spazio pubblico, anche grazie ad interventi progettuali puntuali o di urban social lighting, può davvero diventare elemento generatore. Ne sono esempi concreti città quali Vienna, Barcellona o Umeå.
Uno dei fattori spesso meno considerati nella progettazione degli spazi urbani è quello dell’illuminazione. Illuminazione significa sicurezza e percezione di sicurezza per una donna che deve poter contare sull’ampiezza visuale e sulla possibilità di leggere lo spazio da qualsiasi punto di vista. Le lighting designer, Bianca Tresoldi e Simona Cosentino, hanno spiegato che l’illuminazione pubblica è diversa dallo scenario notturno: “Chi progetta decide chi può sentirsi al sicuro e chi no”. Chiara Belingardi, ricercatrice al Master dell’Università di Firenze, Città di genere. Metodi e tecniche di pianificazione e progettazione urbana e territoriale ha spiegato che “per portare avanti una urbanistica di genere, con spazi che tengano conto del vissuto e di come le donne vivano gli spazi è necessario inoltre “la disponibilità di analisi, studi e statistiche disaggregate per genere. La disaggregazione per genere dei dati – conclude Belingardi – consente di leggere le differenze derivate dai ruoli di genere e di porvi rimedio attraverso le politiche pubbliche e i progetti/piani urbani”.