Giuseppe Luigi Grezzana , medico specializzato in geriatria e gerontologia, cardiologia e dietologia, con tantissimi anni di professione svolta presso l’ospedale maggiore di Verona, ed oggi insegnante presso l’Università della terza età di Verona e presidente nazionale della SIGOS (Società Italiana Geriatri Ospedalieri) ha pubblicato di recente “LUNGO I FOSSI” per conto dell’editore veronese Bonaccorso.
«In “Lungo i fossi” riporto alcune delle esperienze vissute durante la mia professione di medico. Storie vere, con nomi dei personaggi inventati, ma con episodi realmente accaduti, e che mi piace poter condividere con chi vorrà leggerli, per far meglio comprendere la missione che attende un medico durante l’esercizio delle sue funzioni. Mi ritengo da sempre un uomo molto fortunato, soprattutto perché mi è stato concesso di fare ciò che più mi piace, per cui ho studiato, laureandomi ad appena 24 anni, in medicina e chirurgia”.
Cosa le ha lasciato dentro, in tanti anni di assistenza ai malati, la sua professione?
«Come riporto nel libro ad inizio lettura, l’osservazione quotidiana degli anziani mi ha insegnato moltissimo. Sono un misto perfetto di prodigio e fragilità, che poi è il risultato del nostro corpo in grado di superare ostacoli incredibili ma poi, nel tempo, crollare sotto il peso degli anni. Gli episodi che racconto nel libro sono impressi nella mente e nel mio cuore, perché mi hanno particolarmente toccato.»
Lo ritiene un lavoro difficile e impegnativo quello suo?
«Nel mio lavoro si coglie presto il senso che la medicina è qualcosa di totalizzante, a cui dedichi tutto te stesso senza accorgertene, perché non è mai un peso. Si dedica il tempo di una vita per capire, sapere e colmare le molte, tante lacune che sempre si incontrano ad ogni nuovo caso e paziente. Per me l’essere medico mi ha permesso sempre di ricevere doni dagli ammalati in mia cura, che si affidano a me.»
Ci sono molte pubblicazioni a suo nome, ce ne elenca qualcuna?
«Ho sempre letto tantissimo, ma ad un certo punto della mia vita ho osato scrivere. Il mio primo libro, esaurito nella stampa e presto editato nuovamente da Bonaccorso, ha per titolo: “Tramite insieme”, che era stato un modo di dire di una paziente, per significare che nelle cure dell’anziano la medicina è importante, ma non è tutto. Il secondo libro “Andare pensando” riprende la mia abitudine di andarmene in giro in moto. Vado, cerco i posti più tranquilli e mi fermo a riflettere o rilassare mente e corpo. “Geriatri, ladri di saggezza” è il terzo lavoro con il quale ho provato a far capire che non è sufficiente conoscere gli anziani sui libri per poterli curare, ma c’è bisogno di viverli, senza mai dimenticare che sono anime. Poi ce ne sono anche altri, fino ad arrivare all’ultimo: “Lungo i fossi” con cui riprendo le mie abitudini, peraltro mai interrotte, di andarmene, appena mi è possibile, nei posti più remoti e tranquilli, dove penso al grande amore della mia vita: gli anziani e gli ammalati.»
Cosa ha rappresentato nella sua vita essere il dottore degli anziani?
«Credo che nella vita di un medico il confine tra professione e privato sia indistinto, perché gli ammalati ti coinvolgono tantissimo, da non saperti staccare da loro: vai a casa e pensi a loro, vai a dormire con l’ultimo pensiero che è per loro e ti risvegli e sono ancora loro a ricordarti che ti aspettano per essere presi in cura da te. Ma non è penalizzante questa simbiosi, ma una grande ricchezza. Di fatto non ci si abitua mai alla malattia e alla morte, e si cerca sempre una via di fuga, e un medico può essere un alleato perfetto».
Gianfranco Iovino