Alessandro Farina
ùUn buco nero. Un lunga scia di domande senza risposte. Sono trascorsi 36 anni (4 marzo 1984) da quando due giovani della Verona bene vengono arrestati mentre stanno tentando di incendiare, con una tanica di benzina, la discoteca Melamara di Castiglione delle Stiviere. Sono Wolfgang Abel e Marco Furlan. Sono Ludwig, la sigla killer che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 uccise con il ferro e con il fuoco per purificare il mondo. Bruciarono o massacrarono a martellate gli «immondi della terra», prostitute, omosessuali, drogati, zingari e perfino preti.
Quindici omicidi compiuti nell’arco di 7 anni – dal 1977 al 1984 – e rivendicati con la sigla neonazista. Omicidi, dei quali solo dieci hanno colpevoli certi. Gli autori dei primi cinque sono ancora ignoti. Cinque punti interrogativi che graffiano la memoria e riaprono antichi dolori a Verona, città di delitti efferati e simbolici. E di infiniti silenzi e omissioni. Che scortano anche l’enigma “Ludwig”. Carico di dubbi mai sciolti. E di indagini interrotte.
Verona, settembre 1997. Il pubblico ministero Aldo Celentano getta la spugna. Inutile correre dietro ai fantasmi. Il terzo uomo di “Ludwig” non esiste. È frutto dell’eccessiva fantasia popolare che nei complotti e nei misteri c’inzuppa mani e piedi. I gemelli del crimine Marco Furlan e Wolfgang Abel, condannati in appello a 27 anni di carcere, hanno agito da soli. Anche se in nome di Dio e del nazismo. Inchiesta archiviata. Riflettori spenti. Ma i dubbi continuano a rotolare. Anche perché proprio nei mesi in cui Celentano riponeva nel cassetto il fascicolo, a Milano il giudice istruttore Guido Salvini, impegnato a diradare le nubi sugli anni della strategia della tensione, raccoglieva elementi che avrebbero potuto riaprire il caso.
Alcune tra le sessanta mila pagine di documenti, affastellate al settimo piano del palazzo di giustizia meneghino, raccontano come la sigla “Ludwig” nasconda, in realtà, un gruppo di persone cresciute all’ombra dell’estrema destra scaligera e legate a movimenti esoterici trapiantati dall’India nella città di Giulietta e Romeo. Una rete di solidarietà e complicità mai smascherata fino in fondo.
Sono gli stessi protagonisti di quegli anni “neri” a confidare timidamente i primi nomi. Tutti, per la verità, conosciuti dalla Digos di Verona, i cui dirigenti non hanno mai creduto alla storiella che l’attività di “pulizia” di “Ludwig” fosse solo l’eccezionale, nostalgica e deviante aberrazione di due giovani della Verona bene.
Il primo a parlare diffusamente del “gruppo” Ludwig è Giampaolo Stimamiglio, ex ordinovista ed ex legionario dei Nuclei di difesa dello Stato. Lui, la mattina del 29 maggio del 1996, confida al capitano del gruppo operativo del Ros Massimo Giraudo che la setta Ananda Marga «è stata a Verona uno dei centri di aggregazione dai quali probabilmente è nato Ludwig». Per Giraudo è la parziale conferma di un sospetto. Altri testimoni veronesi gli avevano svelato singolari intrecci tra la setta neonazista e il movimento spirituale fondato nel 1955 in India da un ex funzionario delle ferrovie, un tal Prabhat Rainjan Sarkar.
Le parole di Stimamiglio, tuttavia, hanno maggior peso. Non solo perché questo signore è considerato un teste affidabilissimo. Ma, soprattutto, perché tra i fondatori dell’Ananda Marga c’è Rita Stimamiglio, sua sorella, pure lei militante scaligera di Ordine nuovo e amica di Francesca Mambro. La sua firma compare in calce all’atto di costituzione dell’associazione, registrata davanti ad un notaio il 17 luglio del 1975.
Il ruolo di Ananda Marga e quello di altri attori veronesi nella vicenda Ludwig meritano un ultimo approfondimento.