“Gli inquirenti hanno spesso sospettato che il gruppo terroristico (Ludwig ndr) comprendesse anche altre persone. Oggi questa ipotesi sembra più che mai probabile». Ad esserne convinto è un magistrato milanese, Guido Salvini, che ha dedicato gran parte della sua vita professionale a svelare le trame nere che hanno tenuto sotto scacco l’Italia. Parole che troviamo nella poderosa fatica letteraria di Salvini intitolata La maledizione di Piazza Fontana, uscita per Chiarelettere in occasione del 50° anniversario della strage di Milano, il 12 dicembre 1969.
Convinzioni che si basano su diverse testimonianze raccolte negli anni dagli ambienti dell’estrema destra, non solo veronese. E che ci sia stato un legame molto stretto tra l’ambiente fascista scaligero e la coppia Abel e Furlan – condannati per alcuni dei delitti (10 su 15) realizzati dalla sigla i cui volantini declamavano “la nostra fede è nazismo. La nostra giustizia è morte. La nostra democrazia è sterminio” – è lo stesso Pierrot tedesco a rivelarlo. Nel 2011 esce un libro della giornalista Monica Zornetta: Ludwig. Storie di fuoco, sangue follia per Dalai Editore. A pagina 269 Abel confessa: «La banda c’è. È composta da 4 o 5 persone più un paio di fiancheggiatori (…). Marco Furlan era più o meno un collaboratore della banda. Io l’ho capito quando è scappato a Creta (…)». Con la sua fuga «c’entra la politica, c’entrano persone facoltose legate alla destra estrema».
E che Ludwig celi un gruppo di giovani cresciuti all’ombra del movimento Ordine nuovo di Verona lo si sospetta da almeno 30 anni. Dalle indagini del giudice istruttore bolognese Leonardo Grassi sulle “Ronde pirogine antidemocratiche” un gruppo che sul finire degli anni ’80 divenne famoso per gli attentati incendiari a un centinaio di automobili. Soprattutto “Cinquecento”, perché considerate le auto dei proletari, bollati dalla follia collettiva di quel gruppo come «esseri inferiori».
Per Grassi, autore della sentenza-ordinanza depositata il 2 aprile del 1990, le menti dell’organizzazione sono due veronesi. Marco Toffaloni, (indagato ora per la strage di Brescia), e l’insegnante di matematica Curzio Vivarelli, camerata nonché discepolo scrupoloso degli insegnamenti dell’Ananda Marga, setta indiana che ha rappresentato a Verona «uno dei centri di aggregazione dai quali probabilmente è nato Ludwig», secondo l’ordinovista Giampaolo Stimamiglio.
Dai documenti in mano agli investigatori emerge che il professore era l’ispiratore politico dell’attività pirogena e colui che aveva sostituito Toffaloni, a metà anni ’80, alla guida del gruppo. Ma la sua immagine, sbiadita dal tempo, nasconde mille ombre e sfumature. Inquietanti. Alcuni tra i piccoli Neroni di provincia, che trascorrevano le serate a dar fuoco alle auto, confessano ai magistrati felsinei che Vivarelli si vantava di conoscere quelli del gruppo “Ludwig”. E sempre indagando sulle Ronde, Grassi intercetta una telefonata effettuata sull’utenza di Giovanni Gunnella, figlio di Pietro ritenuto dalla magistratura milanese una delle figure di riferimento dell’estrema destra a Verona. Dialogando con un amico, Gunnella junior gli confida il sospetto che «Curzio, amico di Furlan e Abel, è il terzo uomo di “Ludwig”».
«Da tutti questi elementi – scrive nella sua sentenza-ordinanza il giudice Grassi – si può dedurre univocamente che il Vivarelli effettivamente nel 1987 e successivamente si presentava come appartenente al gruppo Ludwig». Un’ipotesi rimasta tale. Mai più approfondita e scandagliata. Uno dei tanti punti interrogativi che si porta appresso l’incubo Ludwig.
Alessandro Farina