Il Verona, superando la simbolica soglia dei 40 punti, si è salvato a nove giornate dalla fine, ma di fatto era già salvo a inizio febbraio, un mese prima che il Covid bloccasse il campionato. Nel mirino ora c’è il settimo posto occupato dal Milan, distante solo una lunghezza. Il sorpasso garantirebbe l’accesso all’Europa League. Un trionfo. E’ molto di più che una semplice speranza, nonostante il Verona debba ancora affrontare (in ordine sparso) Inter, Lazio, Atalanta e Roma. Intanto il prossimo turno lo metterà di fronte al frastornato Brescia (virtualmente già in serie B). Oggi salgono tutti sul carro del vincitore, ma non portano in trionfo Setti, il padrone del vapore, bensì Juric, il tecnico croato. I meriti di quest’ultimo (preso al posto di Aglietti tra l’insurrezione social) sono innegabili: ha preso in mano una squadra che sulla carta non aveva speranze e l’ha trasformata in un collettivo armonioso e pugnace. Negli occhi dei giocatori c’è la grinta dell’allenatore le cui fortune nel corso della carriera sono state alterne. Juric ha portato ad eccellere Kumbulla, Amrabat, Zaccagni, Rrahmani, Pessina, ragazzi sconosciuti fino a qualche mese fa. Ha compiuto un capolavoro. E però nessuno rende merito a chi li ha ingaggiati, sia stato per necessità, per lungimiranza o per entrambe i fattori (cosa più probabile) non importa. Contano solo i fatti. Molti tifosi e alcuni media hanno dichiarato guerra da tempo al presidente e al suo staff, e nemmeno gli allori conquistati sul campo hanno convinto i nemici non diciamo a deporre le armi, ma quantomeno a rendere merito al generale carpigiano e a suoi colonnelli e tenenti. Se il Verona va male la colpa è di Setti. Se va bene, anzi benissimo, il merito unico è dell’allenatore. Questi sono i tempi.
A.G.