L’origine del conflitto mediorientale La questione arabo-israeliano-palestinese attraversa il secondo Novecento ed è tuttora irrisolta

La cosiddetta questione mediorientale, che dovrebbe essere definita più dettagliatamente arabo-israeliano-palestinese, attraversa tutto il secondo Novecento e risulta tuttora irrisolta, contraddittoria e, per certi aspetti, incomprensibile. Tutti convengono sul fatto che la guerra in Medio Oriente non fu e continua a non essere un conflitto puramente locale, basato solamente sullo scontro fra popoli che, per ragioni nazionali, economico-materiali e religiose, si contendono la sovranità di quel territorio.
Sono altresì d’accordo anche sul fatto che quella regione rappresenta nel contempo un polo geopolitico di primaria rilevanza strategica, dove costantemente intervengono ed entrano in rotta di collisione gli interessi delle grandi potenze del pianeta. Il conflitto tra gli stati arabi dell’area, il neonato stato ebraico e il popolo palestinese residente solo apparentemente iniziò con la proclamazione dello Stato di Israele, avvenuta il 14 maggio 1948. La sua origine è rintracciabile nel lungo periodo del Mandato britannico (1920-1948), che fu conferito al Regno Unito dalla Società delle Nazioni il 25 Aprile del 1920 durante la Conferenza interalleata di Sanremo. Lo scopo del mandato era quello di formare in Medio Oriente dei nuovi stati nazionali a seguito della fine del dominio dell’impero turco, dissoltosi nel corso della prima guerra mondiale. Il riassetto dell’area doveva però tenere conto di due fatti accaduti antecedentemente al 1920. Il primo fu la fondazione dell’Organizzazione sionista mondiale, avvenuta a Basilea nel 1897 e promossa da Theodor Herzl, autore del saggio Lo Stato ebraico. Il primo punto del programma affermava: “Il Sionismo si sforza di ottenere per il popolo ebraico in Palestina una sede nazionale riconosciuta pubblicamente e garantita giuridicamente.”
Questo obiettivo verrà perentoriamente ribadito nel VI Congresso dell’Organizzazione (1903) quando fu respinta la proposta del ministro inglese delle colonie Joseph Chamberlain di costituire uno stato ebraico in Uganda, con la motivazione che “il sionismo senza Sion” sarebbe un tradimento. Il secondo fatto fu la Dichiarazione del 1917 del ministro inglese lord Balfour rivolta alla Federazione Sionistica, in cui la Gran Bretagna manifestava la sua “simpatia per le aspirazioni ebraico-sionistiche” e si impegnava a favorire e sostenere, al termine della guerra, “la creazione in Palestina di una Sede nazionale per il popolo ebraico”. La creazione di un National Home non doveva tuttavia ledere in alcun modo i diritti degli Arabi palestinesi: i “diritti civili e religiosi delle Comunità non ebraiche esistenti in Palestina”.

Dichiarazione Balfour, che fu inserita nella Carta del Mandato, appariva piuttosto contradditoria nella sua formulazione e fu l’origine di un pernicioso malinteso tra la Gran Bretagna e i Sionisti, poiché i Britannici intendevano favorire la creazione di un centro nazionale e non la formazione di uno stato ebraico.
Per il governo inglese, come osserva lo storico Ilan Pappé, la Palestina rientrava in realtà nella strategia dell’imperialismo britannico, che si basava sul “massimo sfruttamento possibile delle colonie in cambio del minore investimento possibile nel welfare delle stesse.” In tal modo la Gran Bretagna violava de facto la Carta del Mandato, poiché formalmente un mandato non è una colonia e la Palestina fu in realtà trattata dal governo inglese “alla stregua di una colonia”.
La contrapposizione tra Sionisti e Britannici si radicalizzò, coinvolgendo tacitamente tutti gli Ebrei immigrati, e assunse i caratteri di una vera e propria guerra aperta tra i gruppi terroristici sionisti e le forze militari inglesi. Il conflitto culminò con l’attentato dinamitardo al King David Hotel, sede amministrativa dell’autorità mandataria, compiuto il 22 Luglio 1946 dall’Irgun e dalla Banda Stern, due formazioni paramilitari terroristiche sioniste, provocando la morte di 91 persone. I due eventi, la fondazione dell’OSM e la Dichiarazione Balfour, nonostante le ambiguità e i reali obiettivi del Mandato britannico, avevano comunque innescato un continuo e inarrestabile flusso migratorio di Ebrei in Cisgiordania con la seguente progressione in rapporto alla popolazione (vedi tabella sopra).
Gli insediamenti procedevano con l’acquisto sempre più massiccio di terreni sia da parte del Fondo Nazionale Ebraico, istituito nel 1901, sia direttamente dai nuovi arrivati. I rapporti fra gli Ebrei e la popolazione locale iniziarono a deteriorarsi dal 1920, quando gli arabo-palestinesi attaccarono gli insediamenti ebraici dello Yishùv.
Gli episodi di reciproca ostilità, perpetrati soprattutto dai Palestinesi anche con attentati terroristici, proseguirono sempre più frequenti fino a sfociare nella Grande Ribellione arabo-palestinese del 1936-39. Il governo britannico cercò di fare fronte alle violenze con il Libro Bianco (Maggio 1939), che imponeva una rigida restrizione all’immigrazione ebraica e alle transazioni fondiarie. Quelle disposizioni, tuttavia, si rivelarono del tutto inutili: proseguì l’immigrazione ebraica clandestina e i sionisti riuscivano ad aggirare facilmente le norme sull’acquisto di terreni.

Romeo Ferrari