In occasione delle commemorazioni per il Giorno della Memoria, Fondazione Arena di Verona porta in scena, per la prima volta, L’Imperatore di Atlantide di Viktor Ullmann su libretto di Petr Kien. L’opera in un atto è stata scritta tra il 1943 e il 1944 durante la prigionia degli autori all’interno del campo di Terezín, dove però non fu mai rappresentata. La partitura, infatti, venne ritrovata ed eseguita per la prima volta ad Amsterdam solo nel 1975.
a nuova produzione, firmata dalla regista Barbara Pessina, sarà in scena giovedì 25 gennaio, alle ore 10.30, all’interno della rassegna Arena Young, e sabato 27 gennaio, alle ore 15.30, per Sogniamo ad occhi aperti: a Teatro in famiglia. Entrambe le recite saranno aperte a tutta la cittadinanza. Lo spettacolo, pensato con gradi di lettura differenti per favorirne la fruizione anche da parte degli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, si terrà in Sala Filarmonica ed è inserito nelle commemorazioni ufficiali della Città di Verona per il Giorno della Memoria. Sarà il giovane direttore Riccardo Bisatti, al debutto veronese, a guidare l’Orchestra della Fondazione Arena. In scena nei panni dell’imperatore Overall il baritono Bruno Taddia, assieme a Spartak Sharikadze (L’Altoparlante), Carlo Feola (La Morte), Enrico Casari (Arlecchino), Eduardo Niave (Un soldato), Melody Louledjian (Bubikopf), Irene Molinari (Il tamburo), con i Tecnici di Fondazione Arena. La rappresentazione di giovedì sarà introdotta da Anna Maria Trenti Kaufman, presidente della Comunità ebraica di Verona. Allo spettacolo del sabato sarà presente Carlo Saletti, storico e regista. L’Imperatore di Atlantide (Der Kaiser von Atlantis, messo in scena in italiano) rappresentò un vero e proprio atto di resistenza all’interno del campo di Terezín: la città, apparentemente ideale, fu utilizzata dalla Germania nazista come esempio di insediamento destinato agli intellettuali ebraici e alle loro famiglie; di fatto fu un’elaborata finzione per celare la reale natura dei campi di concentramento, cui gli stessi cittadini di Terezín sarebbero stati destinati dopo l’estate del ’44, una volta conclusa l’ispezione della Croce Rossa internazionale e realizzati filmati di propaganda. Fino ad allora, infatti, le libertà di espressione concesse dai nazisti ai deportati all’interno del ghetto portarono ad una produzione artistica e musicale di rilievo, considerata arte “degenerata”.