Alla fine, quando intorno al 25 aprile l’epidemia dovrebbe essersi esaurita, l’Italia si ritroverebbe a totalizzare 92 mila casi totali di coronavirus, cioè più di quanti ne ha fatti registrare la Cina, almeno finora. La maggior parte dei quali, come è avvenuto in Oriente, sarebbero guariti. Non è una previsione ufficiale, ma una stima di lavoro fatta dalla Ragioneria generale dello Stato con l’obiettivo primario di quantificare gli effetti finanziari di un provvedimento in via di definizione, ovvero l’equiparazione dei periodi di quarantena dei lavoratori a quelli di malattia. Nella relazione tecnica al provvedimento viene “disegnata” una curva della diffusione della malattia sulla base dei dati reali registrati dal ministero della Salute fino all’8 marzo. L’ipotesi è che fino alla metà di questo mese i contagi raddoppino circa ogni tre giorni: poi tra lunedì 16 e martedì 17 verrebbe raggiunto il picco – con quasi 4.500 nuovi malati al giorno – e inizierebbe la discesa. Il numero di casi aggiuntivi resterebbe comunque elevato in una prima fase per poi ridursi gradualmente; alla fine se ne conterebbero appunto 92 mila, inclusi naturalmente quelli che sono nel frattempo guariti e coloro che purtroppo sono invece deceduti. Nel testo non ci sono quantificazioni del numero di morti finali, ma si può ricordare che finora con poco più di 80 mila casi la Cina ha avuto circa 3.200 casi letali. Tra le ipotesi alla base dell’analisi c’è invece quella per cui per ogni contagiato vengano messe in quarantena 4 persone: tra i soggetti in sorveglianza il 63 per cento sarebbe in età lavorativa, tra i 18 e i 66 anni, e il 5 per cento contrarrebbe a sua volta la malattia entro una settimana. Sulla base di queste premesse, l’allargamento dell’indennità di malattia avrebbe un costo per lo Stato di 130 milioni nel 2020.