Lady Bird (Netflix – 2017) Christine ha 17 anni, vive a Sacramento e frequenta, suo malgrado, l’ultimo anno del suo cattolicissimo liceo di provincia; il suo spirito indipendente la porta a ribattezzarsi Lady Bird e a scontrarsi con una routine fatta di genitori affettuosi ma poco comprensivi, ristrettezze economiche e una buona dose di disavventure adolescenziali. Se nella sconfinata varietà di coming of age stories spesso ci sono titoli tutt’altro che memorabili, l’opera d’esordio della regista e sceneggiatrice Greta Gerwig si è guadagnata, negli anni, il posto di rilievo che l’Olimpo cinematografico le aveva attribuito fin dalla sua uscita nelle sale. La vicenda attraversa intenzionalmente tutti i percorsi tipici della vicenda di formazione: nel viso di Saoirse Ronan intravediamo una ragazzina cresciuta nell’affetto e nel rigore da persone amorevoli, ma i cui sforzi non sembrano essere all’altezza delle sue aspirazioni. Eccoci dunque in una vera ribellione adolescenziale, che avanza nella negazione di schemi e regole ingabbianti. Dove le situazioni create fingono di essere convenzionali, è proprio attraverso la non convenzionalità della costruzione dei personaggi che la forza della storia si rivela; tra una strepitosa Laurie Metcalf – madre solo apparentemente dura -, un Tracy Letts-papà dallo sguardo premuroso e un folto gruppo di strani coetanei, Lady Bird entra nel mondo adulto, barcamenandosi tra il rifiuto del presente e la voglia di realizzarsi a pieno: un desiderio profondamente umano, spesso cercato in un altrove lontano, ancor più spesso recuperato solo tornando – magari ad anni di distanza -, proprio a quelle origini così mal tollerate in gioventù. Ragazze Interrotte (Netflix – 1999) Ambientato in un’America ai primi anni ‘70, Ragazze Interrotte racconta la storia di Susanna, giovane adolescente diagnosticata con un disturbo borderline di personalità in seguito a un tentato suicidio e per questo rinchiusa in un ospedale psichiatrico femminile. Tra le compagne spicca Lisa, storica frequentatrice della struttura normalmente impegnata a vessare le pazienti più deboli. Da tali premesse ha inizio il duro percorso della protagonista, giovane bisognosa di affetto e possibilità espressive più che di cure psichiatriche, che si trova ad esplorare questo strano mondo in cui la definizione di “sanità mentale” sembra dipendere quasi esclusivamente dalle inclinazioni di un ambiente disposto o meno ad accogliere richieste, bisogni e disagi del singolo soggetto. Imponendosi come opera pionieristica nel suo tempo, il film di James Mangold veicola una dura critica allo stigma sulla questione della sofferenza mentale, denunciando la discrasia che ancora oggi sussiste tra la percezione socio-collettiva del tema e l’esperienza che investe coloro che vivono sulla loro pelle il disagio. Se a quasi 25 anni di distanza dall’uscita il film non è mai stato così attuale, il merito va anche alle splendide interpretazioni di Winona Ryder e Angelina Jolie, all’epoca giovanissime eppure capaci di interpretare i ruoli da protagoniste con grande coinvolgimento emotivo.
Maria Letizia Cilea