EHa attraversato mezzo mondo, andando a vivere a 15 anni in un monastero pur di giocare a calcio. Era sul punto di mollare tutto, ma sua madre, a più di 9mila km di distanza, non l’ha lasciato solo, lei che gli ha impartito le prime lezioni di calcio, spronandolo a non rinunciare ai propri sogni: “Dovevamo mangiare le stesse cose per tre giorni di fila e in inverno non avevamo l’acqua calda. Avrei voluto mollare, ma mia madre fu fondamentale perché mi disse di stringere i denti”.
A concedergli un’occasione, come raccontato a ‘La Gazzetta dello Sport’, è Riccardo Prisciantelli ovvero il direttore sportivo del Verona fino al 2010 al quale Jorginho deve anche il suo primo soprannome: Lupo.
“Ricordo quel giorno come fosse oggi. Era il 2007, mi chiama un imprenditore veronese che lavora in Sudamerica. Mi propone dei giovani calciatori, gli dico che il mio club ha zero budget e se vuole può portarli in Italia. Tutti gli riconoscevano la grinta di un leone, lui per me è un lupo. Non si vede spesso, in campo fa il triplo e lavora più di tutti. Per quanto ha sofferto merita il Pallone d’Oro”.
“Ci è voluto molto tempo prima che riuscissimo a tesserarlo” riprende Prisciantelli. “Era quasi un infiltrato, non poteva vivere in convitto con i compagni. Lo affidai a una comunità di preti per dargli un letto e un pasto caldo. Ai monaci facevo delle offerte. Non sempre avevo soldi, una volta ho discusso con uno dei frati per dare a Jorginho da mangiare . Al ragazzo regalavo 20 o 50 euro quando potevo. Faceva lo stesso Rafael, il portiere brasiliano della prima squadra. Era l’unico modo che avevo per permettergli di studiare, imparare la lingua e giocare”.
Bravo, era bravo. Tecnicamente una spanna su tutti. Ma era gracile, un fuscello, “non può giocare in Italia”, dicevano.
“Gli comprai qualche attrezzo, cominciò a lavorare per irrobustirsi” ricorda ancora Prisciantelli. “E lui non mollava mai, aveva dentro qualcosa che gli altri non avevano. No, non mi meraviglio che sia arrivato dov’è arrivato, si merita tutto e anche di più…”
“Volevo smettere, mamma mi sgridò”
Jorginho racconta: “C’era un posto per i monaci e un altro per noi delle giovanili. Eravamo in sei in una stanza, ci siamo stati per un anno e mezzo, e ci pagavano 20 euro a settimana. I monaci ci trattavano molto bene ed erano sempre molto rispettosi nei nostri confronti. Si prendevano cura di noi e il cibo era eccellente. Dovevamo rientrare alle 23, ho bei ricordi di quel periodo”.
“Quando mi hanno chiamato in prima squadra, ho conosciuto un altro giovane brasiliano, Rafael, che faceva il portiere. Mi ha chiesto cosa facessi, da quanto tempo ero lì e gli ho raccontato che vivevo con 20 euro a settimana. E lui mi ha detto che non era giusto che fossi così lontano dalla mia famiglia in quella situazione e con così pochi soldi”.
Da qui il pensierio di lasciare tutto se non fosse poi stato per l’intervento della madre: “Per me col calcio era finita. Ho chiamato mia madre piangendo e le ho detto che volevo tornare a casa e volevo smettere di giocare”, ha raccontato Jorginho. “Le ho detto ‘mamma, io torno a casa”. La risposta della madre, però, fu di quelle inattese. ” ‘Non torni a casa e se lo fai trovati un posto dove stare perchè a casa mia non ci entri. Ne hai passate così tante, hai mangiato lo stesso cibo per mesi e sei stato senza acqua calda e adesso vuoi smettere per i soldi? No. Ti stai allenando con la prima squadra e vuoi lasciare tutto? Non te lo permetterò’. Piangevo, e credo di essere rimasto così per un’ora almeno. Ma alla fine devo dire grazie a mamma e papà…”.
Anche perchè il Verona non sembrava credere molto in lui. “Meno male che ci credeva Gibellini” ha sempre detto Jorginho. Oltre a Prisciantelli. Mandorlini lo scoprì più tardi, dopo il rientro dalla Sambonifacese, serie C2. Il resto è tutto un volo. Il Verona, poi il Napoli, l’esplosione con Sarri che lo porta al Chelsea. E adesso, la Champions League e il campionato d’Europa. Forse anche un Pallone d’oro. Chissà…