In finale Nino Benvenuti affronta il russo Yuri Radonyak. Ha già sconfitto il francese Jean Josselin, il sudcoreano Kim Ki-Soo, il bulgaro Shishman Mitsev e in semifinale l’inglese Jimmy Lloyd. Il PalaEur aspetta solo il suo oro. La boxe italiana in quei giorni romani è in uno stato di grazia. Nel complesso porterà a casa tre ori, tre argenti e un bronzo. Il 5 settembre 1960 Benvenuti vince il titolo dei welter. Dopo avere mandato al tappeto il rivale, si aggiudica l’incontro con il punteggio di 4-1. Verrà premiato anche con la coppa di miglior pugile di tutte le categorie. Realizza il suo sogno di ragazzino e si appresta a iniziare una straordinaria carriera da professionista.
“Ci fu un entusiasmo come non l’avevo mai visto prima. Giorni e giorni di feste. L’Italia si era risvegliata più orgogliosa delle proprie potenzialità. L’Olimpiade generò energie che poi furono il volano del boom economico” spiega Benvenuti.
“L’Olimpiade è un palcoscenico visto da tutto il mondo. Nessuna attività sportiva ha una simile attenzione globale. Quindi una vittoria olimpica è il massimo. Un oro non è solo un trofeo per l’atleta ma un premio all’Italia intera.
Il mio cuore sportivo è a forma di medaglia d’oro olimpica. Negli anni sono arrivati tanti titoli, ma anche un campione del mondo ad un certo punto diventa ex. Invece campioni olimpici lo si è per sempre. Facevo parte della squadra nazionale dal 1955. Avevo fatto più incontri di tutti, vincendo sempre e meritando di poter far parte della delegazione azzurra per Roma 1960. Avrei dovuto partecipare anche all’Olimpiade di Melbourne del 56. Nel periodo delle selezioni, non avevo ancora 18 anni. L’allora commissario tecnico, l’americano Steve Klaus, nonostante le mie rimostranze, preferì lasciarmi a casa. Ero troppo giovane. E fece bene. Il pugilato non è il tennis, i pugni presi non fanno esperienza, sono pugni presi e basta.
Roma… è Roma. Immaginatevela con l’Olimpiade: magnifica. Davvero, caput mundi. Doppiarla però non la replicherebbe. Sarebbe fantastico, certo. Ma quella del ’60 resterebbe unica. Anche perché è Roma a non essere più la stessa”.
Fu anche l’Olimpiade di Cassius Clay. “Il più grande. In assoluto. Perché non lo fu soltanto sul ring. Ho rubato sempre ovunque potessi, ma lui l’ho praticamente saccheggiato, nel senso che il suo stile era magnifico. Pur essendo un peso massimo, quando si muoveva tra le corde non ce n’era per nessuno. Ali è stato la massima espressione di uno sport che considero il migliore al mondo”.