Non c’è mai un 10 marzo diverso. Ogni anno il pensiero del mondo gialloblù corre là, nel cimitero di Chievo, dove riposa Mario Giacomi, con la sua famiglia. Son passati 45 anni, il pensiero fa ancora molto male. Troppo. “El veda lu, ‘na fameja distruta…”, sospira un vecchio abitante di Chievo in visita ai suoi cari.
Una famiglia distrutta. In pochi giorni. Prima il giovanissimo fratello Antonio, stroncato da una trombosi. Mario, allora, era al Pescara dove l’aveva chiamato Giancarlo Cadè, un allenatore che lo conosceva bene e lo stimava, come portiere e come uomo. “Mister, devo andare a Verona per il funerale”. Cadè gli disse “Vai, Mario, torna quando starai bene”. Mario va. Il giorno dopo ci sono i funerali di Antonio. Alla sera, dorme in stanza con l’altro fratello, Gianni. Non si sveglieranno più. La mattina dopo, la fidanzata Giovanna non li vede scendere. Sale di corsa, entra in una camera a gas. Mario e Gianni sono morti nrel sonno, per via di una studa difettosa e di un destino crudele.
Mamma e papà Giacomi, in due giorni, perdono i tre figli. Una tragedia senza fine. Un dolore senza tempo.