“Non è semplice arrivare e ancora più difficile è restarci, a certi livelli”. Kristian Ghedina ha l’aria scanzonata di sempre, “ma quando mio papà di tirava le orecchie, c’era poco da scherzare”.
Perchè, dice, “quando hai 15, 16 anni e vedi i tuoi amici uscire, magari con qualche ragazza, far festa, tornare un po’ piùtardi, ti chiedi chi te lo fa fare”.
E allora, osserva, “…allora serve una famiglia che ti tenga sulla strada giusta. Io avevo mia mamma, prima donna insegnante di sci, che era come me. Mio papà era più severo, anche se mi ha sempre lasciato libero. Mi ha detto solo, “vuoi fare lo sport? Devisapere che uno su un milione diventa campione, ma hai il diritto di provarci. Se lo fai, devi farlo seriamente, allenarti bene e dare tutto quello che puoi”.
E così, Ghedina senior lo svegliava al mattino “…me lo ricordo lì con l’orologio, mi diceva, sei in ritardo. E alla sera, se non rientravo alle 10, mi veniva a prendere. “Guarda che ti porto a casa tirandoti per un orecchio…”.
Non è successo tante volte. “No, era giusto impegnarsi, prima per arrivare, poi per restare in alto”. E per provare il brivido della follia, “…quello è una cosa impagabile” strizza l’occhio Ghedina
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