E’ stato dato giustamente grande risalto all’accordo tra Diocesi di Verona, con il vescovo mons. Domenico Pompili, e Fondazione San Zeno con il suo presidente Sandro Veronesi per lanciare un concorso di idee che restituisca un futuro all’ex seminario di San Massimo cher giace semiabbandonato. Una ricerca di idee, dicono Pompili e Veronesi, che non siano solo progetti, ma promuovano innovazione e futuro. Per i primi tre progetti sono a disposizione 50mila euro complessivi. L’impegno di Veronesi, a capo di un colosso che fattura miliardi di euro, da Tezenis fino ai cantieri navali e Signorvino, e che ora cambia il nome di Calzedonia in Oniverse, anagramma del cognome ma anche un’idea di “universo” per far capire l’universalità del suo impero, è stato celebrato dalla stampa nazionale e internazionale per il suo generoso mecenatismo. E bene ha fatto la Diocesi a scegliere questa strada, che assicura l’attenzione generale su un tema dimenticato. Ma la vera difficoltà è tutta cittadina. Perché se per decenni non si è rusciti a trovare una via d’uscita per ridare nuova vita all’ex Seminario qualche motivo ci sarà pure. E proprio per questo vale la pena andare a vedere la storia di questo enorme complesso, “ricco di storia” come sottolinea la Diocesi, che sarebbe dovuto diventare un Ecoborgo, con residenze e centro commerciale, inserito in una zona defilata del territorio comunale, con poche strade di servizio che rendono difficile arrivarci. E di fatto il recupero di questo “quartiere” rappresenta forse la più impegnativa, difficile, importante sfida urbanistica cittadina dei prossimi anni, in grado di cambiare gli equilibri tra i quartieri, tra centro e periferia. Lo si capisce anche solo leggendo i dati sui volumi edificati di questo enorme complesso.
Oltre 17 ettari con tre grandi fabbricati una chiesa, auditorium e una fattoria
Il sito, delle dimensioni di circa 17 ettari è collocato nel quadrante ovest della città, nei pressi del quartiere San Massimo e presenta tre blocchi funzionali immediatamente riconoscibili. Le tre ali, di cui due orientate verso sud e una verso nord, e un corpo centrale, tutti pensati per ospitare le residenze dei seminaristi, le aule scolastiche, i laboratori didattici, gli spazi comuni, oltre che i servizi, quali cucine, mense, macelleria, falegnameria e stamperia. Presente anche un teatro auditorium interrato da oltre 700 posti a sedere, sormontato dalla grande Chiesa di San Giuseppe. Vi è anche un piccolo compendio di edifici rurali, utilizzati in passato per la coltivazione della campagna circostante. Ma che cosa dovrebbe diventare? Quali sono gli indirizzi dati a chi vuole partecipare al concorso di idee?
OBIETTIVO E DETTAGLI. Il desiderio, dice la Diocesi, proprietaria dell’area, “è quello di rendere parte attiva la collettività di un pensiero su come si possa riqualificare in questo e in altri casi uno spazio al momento semiabbandonato”, per cui “si pone in ascolto di proposte di riqualificazione e valorizzazione”. Si tratta non solo di un recupero edilizio, ma di una vera e propria “rigenerazione urbana attraverso una raccolta di proposte, idee, suggestioni provenienti potenzialmente da ogni parte del mondo”. Se la concezione originaria lo vede come un complesso di edifici monofunzionali e caratterizzati da una forte autonomia e separazione rispetto all’intorno, ora viene individuato come destinatario ideale per un progetto di ripensamento che possa permetterne una futura trasformazione in chiave trasversale. Il desiderio della Diocesi è quello di, con questo concorso di idee, mettere in moto realtà che portino a “rappresentare e valorizzare i talenti, interessando non solo individui, imprese e consorzi, enti pubblici e privati, associazioni, purché si tratti di soggetti formalmente costituiti e aventi natura giuridica, ma anche università, istituti di formazione e ricerca fino agli istituti scolastici”. L’obiettivo, insomma, “è individuare un’idea che sia in grado di cogliere le eredità e le memorie del passato, intercettando le sfide e le potenzialità di sviluppo futuro”.
In crisi dal Duemila, semiabbandonato. L’ex Seminario ora ospita il Centro pastorale adolescenti e centro di accoglienza Caritas
Per questo, caratteristiche imprescindibili di questo concorso sono: “capacità di contaminare gli ambienti rispettandone il contesto, la vocazione sociale e collettiva, ricercare nuovi layout funzionali, che mantengano inalterata l’area della Chiesa (unico “vincolo” imposto dai committenti) come luogo dello spirito, di pensiero e del silenzio, l’integrazione di attività, mono-funzione o diversificate. Sarà possibile prendere parte al concorso fino alle ore 11:59 della mattina del 27 marzo 2024 previa iscrizione online sul sito www.exseminariosanmassimo.org”.
LA STORIA. Per meglio comprendere quali potrebbero essere le nuove destinazioni future dell’ex Seminario, è utile ripercorrere la storia e il perimetro del luogo prima che la crisi di vocazioni lo svuotasse. Utilizzato a partire dall’anno 1959, l’ex Seminario di San Massimo è stato inaugurato lunedì 6 giugno 1960 dal cardinale Giovanni Urbani, Patriarca di Venezia, e dal Vescovo di Verona mons. Giuseppe Carraro. Nel corso degli anni Sessanta ha vissuto il momento di maggior sviluppo diventando residenza di oltre settecento persone, tra cui gli studenti a partire dagli 11 anni d’età, i professori, gli educatori, il personale di servizio. Un piccolo villaggio, un “luogo di vocazioni”, dedicato alla crescita e all’educazione dei giovani, per accompagnarli nel percorso di scelta per diventare sacerdoti. Sino ai primi anni Duemila ha anche ospitato i seminaristi della Diocesi di Verona con il convitto, i percorsi scolastici medio inferiori e medio superiori e i percorsi di studi propedeutici ad indirizzo teologico dei giovani adulti intenzionati a diventar e sacerdoti. Ma è già con gli anni Ottanta che il complesso subisce un progressivo abbandono e viene, in parte, destinato ad altre funzioni. Recentemente l’ala nord, l’unica ristrutturata, ha ospitato vari servizi della Diocesi, il Centro Unitario per la formazione Missionaria (servizio periferico della Conferenza episcopale italiana) e, durante l’emergenza pandemica, camere e spazi comuni sono stati messi a disposizione del personale sanitario dell’Azienda Ospedaliera scaligera. Attualmente l’ala ospita la sede del Centro Pastorale Adolescenti e Giovani, che promuove attività e proposte per l’intero territorio diocesano e, provvisoriamente, un Centro collettivo di accoglienza per richiedenti asilo, gestito da Caritas Verona.
Ecoborgo, un calvario urbanistico. Dal 2008 ci sono stati vari tentativi di vendita e di recupero con rischi di speculazioni
IL CALVARIO URBANISTICO. Ma già in passato sono stati esperiti vari tentativi per salvare l’ex Seminario di San Massimo, nessuno però ha avuto fortuna. Ricordiamo i passaggi principali, per esempio quando tra il 2008 e il 2012, la Curia vendette per 60 milioni di euro gran parte de complesso e dei terreni circostanti alla società San Marco, privata, che vedeva l’impegno di alcuni dei maggiori imprenditori edili veronesi (da Lonardi a Fedrigoli ed altri). In cambio, sarebbe stato tra l’altro restaurato il Seminario di Veronetta (dietro piazza Isolo) che oggi funziona perfettamente. La società però andò in crisi e quasi tutta la proprietà ritornò nelle mani della Diocesi. Ma al di là della propretà, è sempre stato il destino urbanistico il vero nodo attorno al quale sono esplose le polemiche: che cosa è consentito inserire in quel gigantesco complesso? Al di là dei servizi sociali e culturali, si può inserire una destinazione commerciale? E per quanta superficie? La Regione quattro anni fa, al di là del vecchio Paque, Piano d’area del quadrante europa, consentì alla Curia spazi per una valorizzazione commerciale fino a 21 mila metri quadrati che avrebbe trasformato la zona in un centro commerciale, con grande distribuzione oltre a negozi di vicinato. Il progetto iniziale, chiamato Ecoborgo che prevedeva solo 9 mila metri quadrati di commerciale, sarebbe diventato qualcosa di ben più impattante. Il Comune, nella sua parte tecnica della Direzione Ambiente, sollevò perplessità concrete: «la consistente quota di destinazione commerciale, prevista fino al 20% della volumetria totale, non potrà non avere effetti anche significativi sull’ambiente. In particolare, proprio a causa della quota commerciale prevista, si formerà un rilevante polo di attrazione di traffico, sia sulle strade di accesso che sulla viabilità ordinaria del quartiere di San Massimo». La decisione della Regione era una vera e propria variante urbanistica e la amministrazione comunale dle sindaco Sboarina chiese di portare la quota commerciale da 21mila a 16mila metri quadri mentre le opposizioni, con Miichele Bertucco e il Pd ritenevano che l’operazione potesse trasformarsi in «una delle maggiori speculazioni edilizie della storia recente di Verona». Anche l’ex sindaco Flavio Tosi, favorevole al recupero del complesso, criticava Sboarina che condannava i progetti di centri commerciali “ma adesso ne fa uno lui”. E su questi disaccordi il progetto è finito sulle secche.
Dopo il 27 marzo la parola agli esperti. E’ il termine per presentare i progetti. Nella commissione anche Borletti Buitoni del Fai
Va anche ricordato che sulla vicenda, nel 2020, Federico Benini, Elisa La Paglia e Stefano Vallani, consiglieri comunali a Verona per il Pd, all’epoca all’opposizione, erano intervenuti pesantemente. “Sull’Ecoborgo di San Massimo è accaduto purtroppo quanto avevamo previsto e paventato a dicembre: la riduzione della superficie commerciale chiesta dall’amministrazione comunale è stata semplicemente ignorata dalla Regione Veneto. In primo luogo perché la Regione a guida leghista se n’è sempre fregata dei problemi di Verona, e in secondo luogo perché la richiesta del Comune non era adeguatamente motivata, anzi, era del tutto infondata. Con quale criterio, infatti, Sboarina e Segala ritenevano che una superficie commerciale di 16 mila metri quadri potesse essere più sostenibile di una di 20 mila metri quadri quando le previsioni di progetto assicuravano che in quella posizione non ci potevano stare più di 9 mila metri quadrati e per di più esclusivamente dedicati a negozi di vicinato? Era evidente che si trattava soltanto di un pallido tentativo di salvare la faccia davanti alla popolazione di San Massimo vittima dell’ennesima colata di cemento e dell’ennesimo pasticcio viabilistico”. Ma al di là della superficie commerciale (un vero e proprio ipermercato), che cosa si prevedeva nell’ex Seminario? Per esempio strutture turistico-ricettive e anche l’idea di un palazzetto per concerti, il tutto ricompreso nella variante al Paque per il progetto dell’Ecoborgo. Ora la parola passa al concorso di idee che saranno esaminate e valutare da una commissione formata dal vescovo Domenico Pompili in qualità di presidente; componenti don Luca Albertini, Rettore del Seminario Vescovile, Giacomo Borella, architetto e cofondatore dello studio Albori, Ilaria Borletti Buitoni, vicepresidente del Fondo per l’Ambiente Italiano, Alessia de Biase, antropologa, docente presso l’Ècole Nationale Supérieure d’Architecture de Paris, Marco Morganti, Direttore Impact Banca Intesa San Paolo; Sandro Veronesi, presidente Fondazione San Zeno e del Gruppo Calzedonia. La sfida è lanciata per coniugare risorse, sostenibilità, tradizioni e coerenza urbanistica.