La legge Merlin non solo non ha “chiuso” le case di tolleranza, ma ha “aperto” le strade alla prostituzione; non solo non ne ha “abolito” lo sfruttamento, ma ha “consegnato” l’affare in regime di monopolio nelle mani delle organizzazioni criminali, e ha di fatto sostituito allo sfruttamento “tradizionale” forme di sfruttamento “industriali” e criminali, assolutamente più feroci e potenti. Si deve oggi prendere atto che i divieti e le preclusioni che la legge Merlin ha imposto non ha ridotto la diffusione della prostituzione, anzi ne ha favorito ed aggravato lo sfruttamento.
A oltre 60 anni dalla sua introduzione, appare insensato e impraticabile tanto la difesa di una legge inefficace, che la restaurazione di un sistema di controllo pubblico e statale. Alla luce dell’esperienza nazionale, dei modelli internazionali, dei cambiamenti intervenuti in questo settore e dei contribuiti, anche scientifici, offerti dalle organizzazioni di sex worker, diviene urgente riaprire il dibattito su questo tema nel nostro paese, ma anche nel nostro comune di Verona. Un dibattito ampio, aperto e scevro da tabù, che miri anzitutto a rimuovere la cappa di stigma e disinformazione che ancora impedisce il riconoscimento di libertà sessuali che possano e debbano accompagnare diritti, legittimazioni e tutele.
Nella maggior parte dei paesi, Italia inclusa, l’obiettivo perseguito, più o meno espressamente, dal legislatore riguardo al lavoro sessuale è l’abolizione. Questo obiettivo è talvolta perseguito con la totale proibizione: eliminare il lavoro sessuale garantendo che sia severamente vietato. Non ci sono tuttavia prove e dati che suggeriscano che l’eliminazione del fenomeno – sia essa perseguita attraverso il divieto assoluto di atti sessuali a pagamento (modello proibizionista) o sia essa perseguita attraverso la punizione di attività “collaterali”, come ad esempio il favoreggiamento, (modello abolizionista) – possa essere raggiunta, ma molti paesi la perseguono comunque.
In Italia, la Legge Merlin, n. 75 del 20 febbraio 1958, mai modificata e dunque ancora vigente nel paese, è un caso tipico di legge abolizionista: non proibisce lo scambio di sesso contro denaro, ma criminalizza condotte ancillari, quali l’agevolazione, l’adescamento, il favoreggiamento e lo sfruttamento, al fine di contenere la pratica e i suoi effetti collaterali.
Leggi penali di questo tipo finiscono però – tanto nell’opinione pubblica (attraverso disinformazione e stigma) quanto nella prassi dei tribunali (attraverso azioni penali e processi) – per prendere di mira le lavoratrici e i lavoratori del sesso stessi, i loro clienti, le persone e i proprietari di appartamenti, dove i locatari svolgono sex work, colpendo attività non solo inoffensive, ma utili per lavorare in condizioni più sicure.