Le sirene, i detriti per strada, le urla. Persone che si disperano, tossiscono, vengono sorrette, si riparano la bocca. Fumo, fiamme che divampano da due torri maestose, identiche, nell’architettura e nel destino che le attende. Un senso di violenta impotenza nell’assistere a quello che pare uno scenario post-apocalittico. Cos’è rimasto di quell’11 settembre 2001 nella memoria di ognuno di noi? Come quel giorno è stato in grado di imprimere un cambiamento nel mondo? Immagini riviste, ripercorse, commentate e ormai sedimentate nell’immaginario collettivo, come gli istanti più tragici della storia degli Stati Uniti d’America.
Anche chi quel giorno l’ha osservato con gli occhi di un bambino, e stava guardando i cartoni animati lo ricorda. Ricorda lo stupore dello schermo che si fa grigio: “Interrompiamo il programma per una edizione straordinaria del telegiornale”. Ricorda, poi, il volto spaventato degli adulti che si incupisce, guardando quei fotogrammi atroci e surreali. Ricorda la paura e la curiosità di decifrare cosa stesse succedendo, nell’incapacità di porre le domande giuste. E ricorda la consapevolezza di chi assiste ad un fatto che, anche se sta accadendo a migliaia di chilometri di distanza, impatterà sulla vita di tutti.
Un primo aereo si schianta sulla Torre Nord del World Trade Center. Tutte le reti televisive mondiali stanno trasmettendo in diretta i fotogrammi della prima torre in fiamme. È in quei secondi che un secondo aereo si schianta sulla Torre Sud, a 950 km orari. Degli altri due aerei dirottati quel giorno, uno colpisce il Pentagono e l’altro, il cui obiettivo era probabilmente la Casa Bianca, un campo in Pennsylvania, a seguito di una rivolta dei passeggeri. Le riprese che seguono testimoniamo lo strazio di chi si getta nel vuoto, pur di sfuggire alle fiamme nelle quali i piani più alti delle torri sono intrappolate. Dopo aver bruciato per 56 minuti la Torre Sud collassa in 10 secondi. La “raggiunge”, dopo meno di un’ora, la Torre Nord. Centinaia di persone, tra vigili del fuoco, agenti e volontari si attivano immediatamente per le operazioni di soccorso. “Qui l’11 settembre c’erano due torri: un simbolo dell’America. Adesso è solo un cantiere e un cimitero. Si sono concluse qui le storie umane di 3000 persone. Nelle loro tasche i passaporti di sessanta nazioni. Tra i morti anche 479 vigili del fuoco, poliziotti, soccorritori”. È Enzo Biagi, nel suo reportage “NY senza stelle”. Tra i primi a documentare, entrando, assieme alla sua troupe, nel Ground Zero, pochi mesi dopo la tragedia dell’11 settembre. Oltre 6000 persone sono state ricoverate per le ferite riportate e molte altre sono morte, negli anni successivi, per danni causati dalle polveri. Migliaia si sono malati di tumori o hanno contratto malattie respiratorie gravi. “New York è stupefatta, sconvolta nelle antiche regole e nelle convinzioni. Le luminarie natalizie sono meno festose, in giro non si vedono i soliti disoccupati vestiti da Babbo Natale. Le bancarelle con i poster conciliano dolore e commercio, c’è la memoria della paura”. Così, Enzo Biagi racconta una New York stravolta dopo il suo giorno più nero.
“Il mondo non sarà più lo stesso”, quante volte questa frase è stata ripetuta da allora? Da subito si è percepita l’impossibilità di arrestare un cambiamento che la potenza di quelle immagini ha sprigionato. Dapprima nell’intimità del singolo, e poi inevitabilmente nel corso della storia.
Non è possibile stabilire, e nemmeno ipotizzare, come sarebbe il mondo oggi se l’11 settembre 2001 fosse stata un giorno “ordinario”. Già, però possiamo fare i conti con le dirette conseguenze di quella tragedia che ha colpito il cuore pulsante degli Stati Uniti d’America e dell’Occidente.
Emblematica l’esortazione di Tiziano Terzani, rimasta inascoltata, che in quei giorni scrisse: “Rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta”
Il presidente Bush, nemmeno un mese dopo, il 7 ottobre 2001, diede inizio alla guerra in Afghanistan contro i talebani. Oggi, a distanza di 19 anni, le crudeli cifre del conflitto che è derivato da quegli attentati lasciano attoniti e spaesati. 3500 circa i soldati caduti della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti, 6500 i caduti tra le forze di sicurezza afghane, circa 300.000 le vittime civili. Innocenti. E così che si cambia o si vuole cambiare il mondo?
“Le guerre sono tutte terribili. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove –, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via”, continua, profetico, Terzani.
Allora forse, oltre che domandarsi come questa tragedia abbia cambiato il mondo, bisognerebbe riconoscere quanto non siamo riusciamo riusciti a cogliere fino in fondo il reale insegnamento che poteva offrirci. “Quel che ci sta succedendo è nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione”. È l’invito di Terzani. In un giorno come questo, nel ricordare quegli istanti, il dolore per le vite letteralmente travolte si fa più forte, e così anche il rammarico per come il mondo abbia sprecato un’occasione. Sono ferite che ancora fanno male. Ad alleviare le ferite, resta la speranza contenuta in quest’invito. È ancora valido e merita di essere ribadito, oggi più che mai. Ogni 11 settembre, e sempre. Fino a quando verrà realmente compreso e attuato.
Stefania Tessari