Secondo appuntamento a Verona per la rassegna de “Il Settembre dell’Accademia – XXXIIII edizione del festival internazionale di musica promosso dall’Accademia Filarmonica di Verona – dopo l’esaltante concerto di domenica scorsa con la Mahler Chamber Orchestra diretta da un ispirato Antonello Manacorda con la soprano Anna Prohaska. La Cappella di Stato sassone di Dresda (Sächsische Staatskapelle Dresden), in cartellone il 13 settembre al Teatro Filarmonico sempre alle 20.30, è una delle più antiche orchestre al mondo, fondata nel 1548, quasi contestualmente all’Accademia Filarmonica (istituita nel 1543) che ora la ospita sulle sponde dell’Adige. Tra i suoi numerosi direttori l’ensamble può vantare anche Weber, Wagner e Strauss, così come Giuseppe Sinopoli che ne era direttore stabile al momento della morte e Christian Thielemann. Dal 1 agosto di quest’anno e fino al 2030 a dirigere la prestigiosa orchestra, votato dagli stessi musicisti anche per le sue “seducenti visioni musicali”, è Daniele Gatti atteso a Verona in una delle primissime apparizioni in Italia nel nuovo incarico. Gatti, che nel 2024 ha ricevuto per la terza volta nella sua carriera il Premio “Franco Abbiati” da parte dell’Associazione Critici Musicali come miglior direttore d’orchestra, guiderà il complesso di Dresda nello straordinario ed enigmatico “Verklärte Nacht” (Notte trasfigurata,1899), poema sinfonico composto da un venticinquenne Arnold Schönberg ispirato dalla poesia del simbolista Richard Dehmel – una musica visionaria, coinvolgente e, seppur immersa nel contesto culturale tardo romantico, già profondamente innovativa per libertà armonica – e la Sinfonia n.1 di Mahler “Il Titano” (1888-1899), musica dai grandi contrasti, permeata dalla psiche fragile del compositore, dalle prime suggestioni psicoanalitiche e da un’aura mistica, in cui si avvia quel gigantismo orchestrale (con un ampliamento notevole dell’organico rispetto alle orchestre ottocentesche) che diverrà tipico della scrittura mahalariana. Due pagine musicali quasi contestuali dunque, che ci trasportano nel clima d’ansia e incertezze di fine secolo. In particolare il primo grandioso impegno di Mahler in campo sinfonico, la prima delle nove Sinfonie portate a termine dal direttore-compositore, oggetto per anni e anni di continue revisioni e ripensamenti e di scelte programmatiche poi rinnegate – lo stesso titolo di Titano e la definizione di Poema sinfonico in forma di sinfonia furono in un secondo tempo abbandonati – ben esprime le sue personali incertezze circa la strada da prendere con quest’opera di straordinarie dimensioni e di non meno straordinarie ambizioni, destinata non soltanto a chiudere il periodo giovanile ma anche a definire il rapporto con l’intera eredità musicale del passato. Le due composizioni in programma appartengono a due musicisti ben diversi, ma benché ancorate a un linguaggio di fondo tradizionale sono accomunate da un’atmosfera“sperimentale” ed è come se si creasse una sorta di ideale passaggio di testimone tra il musicista boemo e viennese d’adozione, faticosamente compreso al suo tempo e destinato a una prematura scomparsa, e colui che – ammiratore infinito della musica e della figura del suo maestro – aprirà la strada alla sperimentazione dodecafonica.