Le origini della rivoluzione islamica La causa scatenante fu la crisi economico-finanziaria che aumentò la disoccupazione

La rivolta contro il regime autocratico di Mohammad Reza Pahlevi iniziò con un movimento ampio e articolato, che includeva studenti, varie forze ed espressioni della società civile, religiosi e comunisti, deciso a contrastare i suoi metodi impositivi, le sue iniziative economiche fallimentari, nonché la sua intollerante politica di modernizzazione e laicizzazione del Paese, che aveva radicalizzato lo scontro con gli ulema fin dal 1963. La causa scatenante lo scontro fu la crisi economico-finanziaria, iniziata alla fine del 1976, che aumentò la disoccupazione e l’inflazione e portò nel gennaio del 1978 ad affollate manifestazioni di protesta in alcune città. L’immediata, violenta e sanguinosa repressione delle contestazioni riportò l’ordine solo per qualche mese e in settembre le contestazioni riesplosero, estendendosi all’intero Iran. Fu proclamata allora la legge marziale a Teheran e in altre dieci città e l’8 Settembre, nella capitale, avvenne il terribile “venerdì nero”. Lo shah aveva proibito la manifestazione indetta per quel giorno nella capitale, ma la folla si radunò comunque e l’esercito aprì il fuoco sui giovani manifestanti, lasciando sul terreno almeno un migliaio di vittime. Dopo la strada e le piazze, le fabbriche: iniziò in ottobre una serie di scioperi senza precedenti, che paralizzarono i settori vitali dell’economia. Fu coinvolto soprattutto il settore petrolifero, dove la produzione crollò a 225.000 barili al giorno rispetto ai soliti 6 milioni e il 26 dicembre furono interrotte le esportazioni fino al 5 Marzo 1979. Gli scioperi all’inizio ebbero un carattere rivendicativo di natura economico-sociale, ben presto però assunsero un aspetto politico e conversero con le manifestazioni di piazza che in tutto il Paese chiedevano l’allontanamento di Reza Pahlevi e il ritorno dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. Quest’ultimo, dall’esilio parigino, dove si trovava dopo essere stato cacciato dall’Iraq su ordine dello sahah, stava lanciando continui appelli allo sciopero, alla diserzione e all’insurrezione generale, rifiutando qualsiasi trattativa con il governo. Khomeini era riuscito, come osserva lo storico Marcello Flores, “a intrecciare il richiamo ai valori religiosi e ai principi della tradizione con la lotta rivoluzionaria per l’abbattimento della monarchia, erodendo rapidamente il terreno agli ayatollah dell’Iran, attraendoli a sé e unificando i giovani delle università e dei sobborghi poveri con le classi medie dei bazar e delle campagne.” Nemmeno le misure prese contro le personalità corrotte del regime e i responsabili delle atrocità commesse dalla Savak riuscirono ad arrestare l’avanzata della rivoluzione, che sfociò nella grande manifestazione di Teheran del Dicembre 1978 con oltre un milione di partecipanti. La sorte della monarchia era segnata: fallito il tentativo di frenare le contestazioni con la nomina a capo del governo del nazionalista democratico Shapur Bakhtiar, progressivamente rinnegato dalle forze armate che ne avevano garantito l’autorità, perduto l’appoggio degli USA, che lo invitarono ad abbandonare quanto prima l’Iran, il 16 Gennaio 1979 lo shah Mohammad Reza e la sua famiglia lasciarono il Paese e si trasferirono in Marocco.

Baktiar allora concesse la libertà di stampa, indisse libere elezioni e bloccò la fornitura di petrolio a Israele e Sudafrica, ma Khomeini sconfessò le sue decisioni e non riconobbe il suo governo. Il primo Febbraio 1979 rientrò trionfante a Teheran, acclamato da molti cittadini iraniani come l’imam (la guida), il discendente del Profeta tornato a redimere la sua gente e Il Consiglio islamico della rivoluzione, istituito dallo stesso Khomeini il 13 gennaio, diede vita il 12 Febbraio al primo governo rivoluzionario diretto da Mehdi Bazargan. Un anno di lotte contro la dittatura dello shah era costata la vita a più di diecimila persone; tuttavia la rivoluzione non aveva ancora chiuso i conti con il suo carico di vittime. Fu subito avviata l’epurazione nei confronti di chi si era compromesso con la monarchia e venne condotta con l’appoggio delle “guardie della rivoluzione”, che avevano il compito di mantenere l’ordine. I “comitati islamici” instaurarono un vero terrore civile e i tribunali rivoluzionari già nei primi tre mesi avevano condannato a morte con processi sommari alcune centinaia di persone. Nel contempo Khomeini, con grande abilità, seppe evitare possibili spaccature nel fronte delle opposizioni, aumentò il potere del Consiglio rivoluzionario, marginalizzò il Fronte nazionale di tendenza liberale e creò il Partito della rivoluzione islamica (PRI), che era una propria formazione politica. Sul piano internazionale, la rivoluzione iraniana si pose in alternativa al bipolarismo USA-URSS, forte della convinzione che la giustizia temporale derivasse dalla parola di Dio e non solo dalle decisioni degli uomini. La costituenda repubblica islamica, dichiarò un giovane militante a Teheran all’apice della rivoluzione, “è il tipo di governo che la gente vuole e lo ha creato da sé, questo governo è amico della libertà e nemico dell’imperialismo, del comunismo e di tutto il resto.” *Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia

Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia