Lo chef Giancarlo Perbellini, è stato protagonista dell’incontro a 4job, l’Ufficio placement dell’Esu di Verona, con gli studenti dell’Università veronese e degli istituti alberghieri scaligeri, per raccontare la propria storia, le proprie esperienze di chef e di imprenditore dell’alta ristorazione; le sue trasferte parigine e inglesi, le difficoltà e opportunità che offre il settore. Agli studenti, Perbellini ha spiegato come sia possibile gestire gli 8 locali che attualmente ha aperto, e di come il controllo di gestione sia fondamentale per la sostenibilità di un ristorante, almeno quanto lo sono la cucina e il servizio di sala. Le professionalità necessarie per il successo imprenditoriale di un locale, quindi, non possono limitarsi al food e al servizio se non tengono conto dei costi di gestione. Agli studenti che gli hanno chiesto consigli sulla miglior formazione sul campo, Perbellini ha suggerito a tutti di fare esperienza all’estero, soprattutto in Francia. “Nella formazione di un cuoco ci devono essere i ristoranti stellati ma anche le trattorie. E questa regola me l’hanno insegnata i giapponesi che danno molta importanza alle origini. Però dico a tutti voi che è altrettanto importante andare a fare pratica in Francia dove si impara l’organizzazione del lavoro, si imparano a fare le salse, a ripetere gli stessi gesti per un anno, finché non si sa fare tutto alla perfezione. Un cuoco fino a 27 anni sa fare cose semplici. Intorno ai 30 dovrebbe, invece, cominciare ad avere una sua espressione, abbozzare il proprio stile. Fenomeni a vent’anni ce ne sono davvero pochi in giro”. E a chi gli ha chiesto se la proliferazione di programmi di cucina in tv sia un bene o un male per la ristorazione, lo chef ha ricordato che: “Per un verso hanno contribuito a dare uno svolta al nostro mestiere che una volta in Italia era denigrato, ma per un altro non aiutano a rappresentarlo come è realmente – prosegue – Quando lavoravo in Francia, dove gli chef erano rispettati come i professori di università, mi chiedevano se e quando in Italia si sarebbe diffusa la stessa mentalità. Fortunatamente è successo dopo, grazie proprio alla tv, ed è stato un bene. Tuttavia la tv ha fatto si che oggi, nell’immaginario comune, si pensi che il nostro sia un lavoro facile, alla portata di tutti, quando invece comporta grande sacrificio, tecnica e preparazione. Per fare un piatto servono molte ore e molte mani. Una squadra coordinata”. ha concluso lo chef stellato.