«Se è vero che ogni libro ha un destino, in quello dell’ “Arte della Gioia” c’entro di sicuro anch’io»: a scriverlo è Angelo Pellegrino nella prefazione dell’Edizione Einaudi (2011) del romanzo cult di Goliarda Sapienza, ma le stesse parole sembrano legate indissolubilmente anche alla figura di Valeria Golino, in questi giorni al cinema con i primi tre episodi della miniserie targata SKY basata proprio sulla prima parte de “L’arte della Gioia” (la seconda parte è uscita giovedì 13 giugno).
L’arte della Gioia
È il 1986 quando, sul set di “Storia d’Amore” di Francesco Maselli, un’appena diciottenne Valeria Golino incontra Goliarda Sapienza, assoldata per cancellare l’accento napoletano dell’attrice in favore di un’inflessione romana. Golino di Sapienza allora sa ben poco.
D’altronde, in quegli anni il magnum opus dell’autrice siciliana non è che un grosso cumulo di fogli rinchiuso dentro una cassapanca d’epoca, rifiutato da tutte le case editrici a causa del contenuto scabroso e di uno stile specchio di un’anima troppo libera, provocatrice e moderna per soddisfare le convenzioni sociali.
Sapienza scompare improvvisamente nel ’96; la storia che l’ha tenuta impegnata per gli ultimi trent’anni della sua vita rinasce, nella forma di un grosso tomo di 600 pagine, alla fine degli anni ’90 raggiungendo – specialmente all’estero – un successo incredibile. Per tanti anni, le strade di Golino e di Sapienza tornano ad incrociarsi: a Golino viene proposto più volte di interpretare il ruolo della ribelle protagonista Modesta, ma questi film non vedono mai la luce.
Poi, d’improvviso, quattro anni fa il destino tanto caro alla poetica Sapienziana bussa nuovamente alla porta della cineasta: i diritti del libro tornano disponibili, e Golino afferra l’opportunità al volo, mettendosi immediatamente all’opera con l’obbiettivo di co-sceneggiare e dirigere l’adattamento cinematografico. Ma il romanzo è troppo corposo, e l’idea di un film assume ben presto le sembianze di una miniserie in sei episodi concentrata esclusivamente sulla prima delle quattro parti della vicenda, quella che segue la selvaggia Modesta dalla sua infanzia nella brulla, poverissima Sicilia della Chiana del Bove alla sua scoperta sessuale tra le mura del convento, fino alla sua scalata sociale tra la nobiltà catanese.
È così che, cinquantasette anni dopo i primi appunti di Sapienza sulla rivoluzionaria odissea
antropologico-sentimentale dell’impavida Modesta, “L’arte della gioia” afferma con forza ed
eleganza il suo posto sul grande (e, tra poche settimane, anche sul piccolo) schermo, rimanendo fortemente fedele all’anima del racconto letterario, seppur scostandosi in alcuni dettagli.
Alla sua terza eccellente prova come regista, Valeria Golino torna ad adottare la poetica
delicatezza che hanno reso grandi i suoi lungometraggi “Miele” (2013) ed “Euforia” (“2018), ma questa volta si spinge oltre, abbracciando con entusiasmo e commovente cura l’anima turbolenta e distruttiva del romanzo e affidandone il volto a una straordinaria Tecla Insolia.
Per un giudizio più completo attendiamo la visione degli ultimi tre episodi. Per ora, un grande grazie a Valeria Golino e, soprattutto, al destino che la lega all’Arte della Gioia.