Lancio di droga e telefonini nel carcere “Non è più accettabile che all’interno delle carceri ci siano decine e decine di telefoni cellulari"

Paiono davvero essere “senza pace” le carceri del Triveneto. Nelle ultime ore, infatti, il personale di Polizia Penitenziaria di Trento si è particolarmente distinto per una importante operazione di servizio che ha portato al rinvenimento di droga e telefoni cellulari. Come sintetizza David Stenghel, delegato regionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, “ieri mattina, all’interno dell’intercinta dell’Istituto di Spini di Gardolo (TN) vi è stato il ritrovamento di un pacchetto lanciato dall’esterno, contenente all’incirca 200 grammi di sostanza stupefacente di tipo cannabinoidi, e successivamente, dopo altra accurata verifica e controllo, anche con l’ausilio delle registrazioni delle videocamere, di altro pacchetto contenente un telefono cellulare completo di caricabatterie e scheda telefonica, destinati all’uso illegittimo da parte della popolazione detenuta”. Stenghel ha parole di plauso ed apprezzamento per il Reparto di Polizia Penitenziaria in servizio a Spini di Gardolo, ma torna ad evidenziare che  “il primo e più rappresentativo Sindacato della Categoria, il Sappe, torna a richiamare l’attenzione dei vertici regionali e nazionali dell’amministrazione penitenziaria affinché vengano date risposte concrete, alla risoluzione delle problematiche in atto nelle carceri del Triveneto, anche dotando le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, da sempre in prima linea sul fronte dell’ingresso e possesso di droga e telefonini in carcere, di adeguati strumenti tecnologici di controllo”.

“Non è più accettabile che all’interno delle carceri ci siano decine e decine di telefoni cellulari: questo, ormai, è un problema serio e drammatico”, aggiunge Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Il problema dell’ingresso della droga in carcere – afferma il leader nazionale del SAPPE – è questione ormai sempre più frequente, a causa dei tanti tossicodipendenti ristretti nelle strutture italiane. Dai dati in nostro possesso sappiamo che quasi il 30% delle persone, italiane e straniere, detenute in Italia, ossia uno su tre, ha problemi di droga. Per chiarezza va ricordato che le persone tossicodipendenti o alcoldipendenti all’interno delle carceri sono presenti per aver commesso vari tipi di reati e non per la condizione di tossicodipendenza. La loro presenza comporta da sempre notevoli problemi sia per la gestione di queste persone all’interno di un ambiente di per sé così problematico, sia per la complessità che la cura di tale stato di malattia comporta. Non vi è dunque dubbio che chi è affetto da tale condizione patologica debba e possa trovare opportune cure al di fuori del carcere e che esistano da tempo dispositivi di legge che permettono di poter realizzare tale intervento. Questa è la strada da seguire per togliere dal carcere i tossicodipendenti e limitare sempre di più l’ingresso di sostanze stupefacenti, unito ovviamente a tutte le attività di prevenzione, come l’utilizzo delle unità cinofile che sono anch’esse fondamentali nel contrasto dei tentativi illeciti e fraudolenti di ingresso e smercio di droghe in carcere”, prosegue il leader nazionale del SAPPE. Capece ricorda che introdurre o possedere illegalmente un telefono cellulare in carcere costituisce reato, punito da 1 a 4 anni di reclusione. “L’introduzione del reato nel nostro Codice penale, purtroppo, non ha sortito gli effetti sperati; l’unico deterrente possibile rimane la schermatura degli istituti per rendere inutilizzabili i telefoni. La situazione è ormai fuori controllo. È necessario un intervento urgente per dotare le carceri di sistemi di schermatura efficienti e per contrastare efficacemente l’introduzione di telefoni cellulari all’interno degli istituti penitenziari”. E, nel ricordare che “il SAPPE denuncia ormai da tempo la situazione insostenibile delle carceri del Triveneto”, evidenzia infine che è sempre e solo grazie all’alta professionalità dei Baschi Azzurri della Polizia Penitenziaria che ancora una volta si è riusciti a garantire la sicurezza interna degli istituti: ma domandiamo ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria a che punto è proprio il progetto di schermatura degli istituti, proprio per neutralizzare l’utilizzo dei telefoni cellulari e scoraggiarne l’introduzione, garantendo così quella prevenzione che, in casi di questo tipo, può risultare più efficace della repressione”.