«Seduto\In mezzo ai vostri arrivederci\Mi sentivo meno stanco di voi\Ero molto meno stanco di voi», cantava De Andrè in Amico Fragile, canzone autobiografica del cantautore più poeta che l’Italia abbia mai avuto. Unico altro pezzo, oltre a Giugno ’73, per il quale Faber – così lo chiamava Paolo Villaggio, per la sua strana ossessione per le matite Faber-Castell – ha scritto testo e musica, la canzone nasce di getto, sotto una furia autoriale dettata da un’esperienza vissuta durante un festino di ricconi a Portobello di Gallura nell’estate del ’74: alcol, droga, idiote banalità e conversazioni finto intellettuali riempivano l’aria; e lui, un po’ bevuto e irritato, si era rifiutato di diventare il giullare della serata e di intrattenere la folla di ospiti. Da vero fuorilegge del buon costume e della virtù, si era dileguato nelle «feritoie della notte» per scrivere questa canzone. Non si trattava di boria, né di un vago senso di superiorità, ma della percezione fisica della inadeguatezza e della non appartenenza a un mondo che lo stava deludendo.
L’anniversario e l’eredità. Sono passati 48 anni dalla pubblicazione di Amico Fragile all’interno di Volume 8. Domani sono invece 23 anni dalla morte di Fabrizio, che ancora oggi ci scruta in mezzo ai nostri arrivederci e ci fa riscoprire lo stupore della realtà con le sue canzoni. Chissà cosa direbbe oggi, se ci vedesse nel nostro chiacchiericcio interminabile, tra previsioni su un futuro incerto, attese per rivoluzioni socio-politiche imperscrutabili e pomeriggi immobili passati a scegliere film, oggetti, amori, seduti – e stanchi, molto più stanchi di lui – sul nostro divano. Probabilmente non ci rifiuterebbe uno sguardo e una parola di amicizia, come quelle scandalose che il protagonista di La cattiva strada aveva per i viandanti incontrati lungo il viaggio: il pilota, la regina, l’alcolizzato, l’innocente; tutti sorpresi da un evento inaspettato e colpiti dal carisma di un uomo fuori dagli schemi, capace di portare sulla cattiva strada, ma anche di generare meraviglia a ogni frase, a ogni battuta, a ogni verso.
Faber e noi. E la meraviglia arriva a ogni ascolto, nel ritrovare anche un po’ della nostra umanità e miseria in quei personaggi descritti con tanta cura e affetto. Dal vecchio professore irrequieto che andava «cercando in quel portone», alla prostituta che «lo faceva per passione» per tornare infine a lui, l’Amico Fragile: sempre «curioso\molto più curioso di voi» di andare a indagare chi, cosa lo aspettasse nei carruggi genovesi, dove spesso lo si trovava in compagnia degli amici (Villaggio, Tenco e altri), dove ha letto quello che serviva per farsi un’idea del mondo, e attraverso cui ha imparato a vivere, preferendo sempre la quotidianità della povera gente alla saccenteria dei salotti; a viverla e a raccontarla, quella realtà, facendoci sentire ancora oggi, a oltre un ventennio dalla sua morte, un po’ più a casa, un po’ più amati, un po’ più accolti. «Un niente, che forse è tutto», come scriveva un altro grande poeta: un niente per il quale però, ci voleva il miracolo di un’Artista.
Maria Letizia Cilea