«Ci diamo del tu, cosa dici?»: si presenta così Nicola Minali, davvero “alla buona” nonostante un palmares da paura. In gare ufficiali, infatti, il velocista veronese ha tagliato il traguardo davanti a tutti per più di 50 volte, dando del filo da torcere a campioni del calibro di Mario Cipollini ed Erik Zabel. Rimane tuttora uno dei pochi in grado di conquistare più di una tappa in ciascuno dei tre grandi giri: due in quello d’Italia, tre al Tour e addirittura sette alla Vuelta. Nel mezzo, indimenticabili le due vittorie consecutive della Parigi-Tours (1995 e 1996).
Ma cosa fa oggi Nicola Minali?
«Sono inserito nel Gruppo Zecchetto, che opera nel campo dell’ideazione, produzione e commercializzazione di abbigliamento e attrezzature sportive. Io, in particolare, mi occupo di ricerca e sviluppo di scarpe da ciclismo, seguendo anche da vicino sia i professionisti che i dilettanti che le utilizzano. Oltre a questo, sono responsabile del negozio dell’azienda a Bonferraro, dove rivendiamo i prodotti delle nostre marche».
Un bel po’ di cose, tutte nel mondo del ciclismo.
«Sì, il mio rapporto con questo Gruppo è iniziato ancora quando correvo, nel 1997. Da allora ho sempre collaborato con loro: la mia ultima stagione da professionista è stata nel 2002, ad inizio 2003 sono entrato definitivamente in azienda».
Facciamo un passo indietro: sei stato uno dei pochi sprinter in grado di competere con Cipollini.
«La mia prima vittoria l’ho conquistata proprio battendolo. È stato il mio battesimo nel professionismo. Quando Mario partecipava alla volata è perché la voleva vincere, difficilmente si trovano ordini d’arrivo dove c’è un altro prima di lui. Quelle vittorie hanno un sapore speciale».
E fra le tante, quali altre ricordi con più piacere?
«Quella che mi ha consacrato è stata la volata sui Campi Elisi a Parigi nel 1997. Per me è stata ancora più bella perché sul traguardo c’erano mia moglie e il mio primo figlio Riccardo, mentre Michael, il secondo, doveva ancora nascere. Anche le vittorie della Parigi-Tours, una delle quali conquistata nel giorno del compleanno di mio papà, me le ricordo molto bene».
Tornando a Verona e al giorno d’oggi, cosa ci dici su Viviani?
«Elia mi assomiglia molto. Anche se non ha una grossa cilindrata come avevo io, ha un senso tattico e un guizzo fenomenali, sicuramente affinati sulla pista, da dove siamo partiti entrambi. È un campione. Sono contento e orgoglioso di questo».
E su Formolo?
«Finalmente ha capito qual è il suo ruolo: vincere corse di un giorno o giri medio-piccoli di una settimana e non prepararsi per essere competitivo per le grandi corse di un mese. Così ha trovato la sua dimensione, può togliersi qualche bella soddisfazione».
Anche i tuoi figli si sono dati al ciclismo. Sono veloci come te?
«Michael è al quarto anno dei dilettanti, mentre Riccardo è più grande ed è già arrivato ai massimi livelli. Per ora gli è mancata solo un po’ di fortuna, perché ha più potenzialità di me. Quest’anno dovrebbe partecipare al Giro e la tappa di Verona è per velocisti, speriamo», dice facendo gli scongiuri del caso. Poi prosegue: «Il ciclismo è cambiato tantissimo, quindi non ha senso fare paragoni. Oggi è più difficile perché è diventato uno sport globale, mentre quando correvo io il ciclismo era Italia, Francia, Belgio e Spagna. E quindi anche per questo il livello si è alzato, ci sono molti più atleti. È matematica».
Tra un po’ parte il Giro d’Italia, come vedi Nibali?
«Un po’ disorientato. Ha cercato nuovi stimoli sostituendo il suo preparatore, ma è difficile competere con i più giovani. Speriamo superi l’infortunio al polso. Tra i favoriti vedo Bernal, che non partecipa certo per fare numero».
Pietro Zardini