«Quando venne l’ultima volta mi portò una sequoia […]. “La pianti qui nel suo brolo,” mi disse, “a mio ricordo e a ricordo dei miei compagni che sono morti su queste montagne”».
Queste sono le parole che un vecchio, che ha vissuto la prima guerra mondiale e ogni estate si reca a ricordare i caduti, rivolge a un altro uomo, che dell’altopiano di Asiago ha fatto la sua casa e un luogo dell’anima.
Il più giovane dei due è Mario Rigoni Stern, di cui si è già avuto modo di parlare su queste pagine, grande personalità di origine vicentina, che aveva subìto gli orrori della seconda guerra mondiale e ne era sopravvissuto, lasciandoci alcune delle opere letterarie più significative del Novecento.
Nato nel 1921, poco dopo la conclusione della prima guerra mondiale, sviluppò fin da bambino l’amore per i boschi e le montagne dell’altopiano di Asiago, anche se percepiva la sofferenza di un paesaggio dilaniato dalle granate, dalle bombe; una terra che, appena smossa, faceva emergere proiettili, filo spinato, ossa umane.
Poi ci fu l’esperienza della seconda guerra mondiale, in cui egli combatté su diversi fronti; ma soprattutto l’esperienza del tragico ritorno degli Alpini dalla Russia si è sublimata nel suo racconto più famoso, Il sergente nella neve (1953), che abbiamo già incontrato.
Dopo aver trascorso anche un anno e mezzo di prigionia, riuscì a fare ritorno ad Asiago, da cui
non si sarebbe più allontanato. Immerso nelle sue amate montagne, si dedicò alla lettura e alla scrittura, vivendo un rapporto di profonda empatia con la natura e il paesaggio che lo circondava.
Proprio per questo si impegnò con grande passione alla ricostruzione dei
boschi martoriati, piantando nuovi alberi, studiando le specie botaniche e forse elaborando le sue sofferenze proprio nella cura degli alberi che, pur silenziosamente e senza lamenti, avevano anch’essi patito la devastazione della guerra. Da questa esperienza quasi
mistica, a contatto con creature nella cui lunga esistenza la vita umana è solo una breve stagione – eppure può condurre alla distruzione -, nasce Arboreto salvatico, da cui proviene la citazione iniziale. Si tratta di una serie di brevissimi racconti, ognuno dedicato a una diversa specie di albero, in cui confluiscono scienza e poesia, dettagli botanici e suoi ricordi personali, memorie letterarie e antiche mitologiche celtiche e classiche.
Negli ultimi anni della sua vita, Rigoni Stern ci lascia un messaggio potente di sensibilità e amore per il mondo vegetale, già a partire dall’aggettivo “salvatico”: si tratta di un termine rinascimentale rimasto nel dialetto veneto che unisce il significato di “selvatico” alla radice di “salvifico”; «un salvatico che conduce alla salvezza», per usare le sue parole.
EffeEmme