La leggendaria storia di Elvis Presley approda al cinema nella nuova opera dell’australiano Baz Luhrmann, tornato sugli schermi dopo un’assenza di quasi 10 anni con un film che è sintesi, oltre che di un’epoca di musica, cultura e costume dorati e irripetibili, anche della sua poetica di autore cinematografico, compendio di un artista fedele al suo stile ma sempre capace di innovarsiacquisendo forma e modi del personaggio protagonista prescelto.
In Elvis la vita del più grande fenomeno musicale americano del XX secolo è vista attraverso il prisma della sua complicata relazione con il suo enigmatico manager, il colonnello Tom Parker. Il film approfondisce la complessa dinamica tra i due nell’arco di vent’anni, dall’ascesa alla fama di Presley alla sua celebrità senza precedenti, sullo sfondo del panorama culturale in evoluzione e della perdita dell’innocenza in America.
A vestire i panni dell’icona, uno straordinario Austin Butler, decisamente all’altezza di un compito che a molti altri sarebbe risultato impossibile; da
Mefistofele pronto a trascinare la star agli inferi a ogni passo, troviamo invece il trasformista Tom
Hanks, che con la sua interpretazione di Tom Parker traduce in gesti, espressioni e movimenti laverve luciferina e profittatrice che venava lo spirito di questo impresario senza scrupoli. Se misurate e puntualissime sono le prove dei due attori protagonisti, frutto di un certosino studio dei personaggi e del contesto che essi hanno attraversato, sovrabbondante è l’opera nel suo complesso, costruita intorno all’immaginario colorato e irrefrenabile tipico del regista australiano e insieme puntellata di quella giusta dose di kitsch e americanità che erano la vera anima di Elvis Presley.
Intorno a questa inesauribile vitalità – che ha saputo essere creativa, geniale, ma anche distruttiva e funesta – si costruiscono alcune delle sequenze più intense del film, quelle che mettono in scenale migliori performance dell’artista con un’accuratezza quasi filologica, dimostrando una volontà
sfrenata di tradurre in immagini perfette l’adrenalina dello spettacolo dal
vivo.
Uno sforzo artistico, quello di Luhrmann, che raramente abbiamo visto in altri biopic musicali e che nel suo essere travolgente mai risulta eccessivo o ridondante. Protagonista quasi quanto il mito del rock èla Storia americana, che scorre in primo piano e che è riflesso – a volte realistico, a volte distorto di una cultura e di un popolo di trasformisti, spesso volubili, ma anche segnati da ferite impossibili da rimarginare, così come mostra la lunga sequenza del ’68 Comeback Special, spettacolo
televisivo senza precedenti durante il quale Elvis cantò per la prima volta If I can Dream, poche ore
dopo aver appreso la notizia dell’attentato a Bob Kennedy e in memoria di Martin Luther King, ucciso solo due mesi prima. Queste e altre ombre in una realtà piena di luci, oscurità, sfavillanti
jumpsuit verniciate, movimenti pelvici e note che, insieme al performer che le cantava, resteranno
eterna eredità della cultura mondiale collettiva.
VOTO 8,5
Maria Letizia Cilea