Che siano le mostre d’arte o il Grande Castelvecchio o l’apertura di nuovi musei che però almeno andrebbero messi prima in rete tra loro, il nodo è chiaro: a Verona cresce sempre di più e da più parti la richiesta di alzare il livello della qualità turistica e culturale. Una città che rischia altrimenti di trasformarsi in una bellissima meta d’arte e monumenti ma affollata di B&B e cibi volanti, una mensa a cielo aperto con affittacamere e camerieri. E turisti che arrivano in pullman, stanno due ore in città e, dopo una visita al balcone di Giulietta e una foto all’Arena, ripartono per Venezia o per Milano. Non è solo overtourism, non è solo questione di stagioni morte da rivitalizzare, non è solo una polemica su degrado e insicurezza: il punto è più profondo: quale traiettoria si vuole dare al futuro di questa città? Quindi sotto il cappello della Cultura ci stanno tutte le diverse declinazioni: appunto le mostre, ma anche il territorio circostante, la valorizzazione di quello che già esiste, la creazione di nuove offerte e iniziative, alzare il livello dell’offerta con eventi di richiamo. Perché altrimenti il pericolo è che qui si viva di rendita e si perda la spinta a innovare, creando una pericolosissima torsione su se stessi, una involuzione, una spirale al ribasso. E soltanto innovando si costruiscono le eccellenze. E se a Verona parli di eccellenze arriva spontaneo il riferimento a Giancarlo Perbellini, tra i primi chef del mondo, tre stelle Michelin dallo scorso anno, 60 anni compiuti, che ha rivitalizzato e reinterpretato il 12 Apostoli. perbellini parla con grande tranquillità, senza animosità, con la delicatezza delle sue invenzioni di alta cucina, ma in questo colloquio più che lo chef emerge l’imprenditore, la visione imprenditoriale di chi chi gestisce quasi una dozzina di locali e quindi si confronta tutte le ore con problemi di grande praticità: dalla ricerca del personale alla sua formazione e gestione, dalla programmazione ai rapporti con investitori e fornitori. E sopra a tutto, lui che non ha mai dimenticato le radici veronesi, l’amore per la sua città e la provincia (è nato a Bovolone nel 1964) quando deve parlare di Verona lo fa con affetto e delicatezza. Ma non per questo gli fa difetto la chiarezza quando si affronta il tema del turismo, della cultura, della formazione. “Verona è a un bivio. Siamo in un momento in cui siamo invasi dai turisti per quattro, cinque mesi e la sera resta poco. L’Arena di Verona ha fatto un grandissimo salto di qualità, adesso abbiamo bisogno del supporto di tutto il resto: alberghi, servizi pubblici…” Aiuterebbe un albergo di alto livello? “Avremmo bisogno di qualche catena alberghiera di alta qualità, tipo Four Seasons, Shangri-La, Mandarin Oriental… A Milano negli ultimi quattro anni sono arrivati sei, sette grandissimi alberghi; a Roma ne hanno aperti 10-12 con il Giubileo, verona è un po’ ferma al palo. perché non è vero che non c’è il cliente adeguato: per portarlo devi creare l’offerta e dargli i servizi. E’ una città, un sistema intero che ha bisogno di un po’ di visione: un grande albergo importante di alto livello attrarrebbe un certo tipo di utenza di cui, a caduta, tutti beneficerebbero, compreso il territorio circostante”.
Alta cucina, bisogna insegnare le basi. All’Alberghiero andrebbero inserite ore di chimica: per gli alimenti è fondamentale
Non ci sarebbe la necessità a Verona di alzare la qualità della formazione sia nel campo della cucina che dell’hotellerie? Come si fa a dare risposte di qualità di fronte a un massiccio afflusso di turisti? “Il problema sta alla base. le scuole alberghiere purtroppo non danno quello che devono dare. Si chiama scuola professionale, dovrebbe insegnare e dare un professione invece in questo momento è una via preferenziale per andare all’università perché è una scuola molto facile. E infatti pochissimi di quelli che fanno questa scuola entrano poi nel mondo reale del lavoro. l’alta formazione è poi una conseguenza. Ma bisognerebbe partire dalla base”. Alzare l’asticella? “E’ ovvio che la città è a un bivio, deve fare una scelta, se continuare a vedere pullman di gente che fa il giro della città e se ne va, che è il tipico turismo mordi e fuggi, o se investire sulla qualità. Cioè portare il cliente e farlo rimanere a Verona offrendogli quello che Verona ha: Valpolicella, Lago di Garda, Arena, musei…” Oggi invece? “Oggi il cliente cosiddetto alto-spendente salta da Milano a Venezia, non ferma a Verona o si ferma per qualche ora e prosegue per due città dove l’offerta comunque c’è”. Mancano gli eventi? “Ormai tutto l’anno qualcosa di attrattivo c’è, forse solo gennaio è un po’ scarico, ma a febbraio si riprende con San Valentino. Il punto è organizzare gli eventi per dare una copertura per 12 mesi”. Continua la difficoltà nella ricerca di personale? “A livello di cucina non ci sono grossi problemi, le difficoltà ci sono nel reperire figure professionali nel campo della sala. l’Italia ha sempre avuto una grande scuola e tradizione nella gestione di sala e l’ha persa; fino agli anni Novanta in qualunque grande ristorante al mondo dove entravi c’era un direttore italiano e tutto questo si è perso. La cucina invece ha avuto la spinta della televisione e ha trovato terreno fertile per cui cuochi ce ne sono”. La televisione ha ancora influenza? “Non c’è più la moda di 7-8 anni fa però è ancora un buon traino. Ma non solo per le risorse umane che arrivano a noi, ma per la qualità del cliente che si è evoluta tantissimo. Tutti sanno cos’è un sifone, una julienne… la tv ha sdoganato qualcosa che fino a 20 anni fa era sconosciuto”. E’ un mestiere che si impara ancora a bottega? “Sì perché c’è una parte di questo mestiere che non si impara su internet o sui telefonini: è la conoscenza della manualità, la parte pratica e professionale. Noi siamo degli artigiani, la conoscenza della materia, dei tagli, prima la impari sul campo. E poi c’è stata una evoluzione anche dei cuochi, che adesso conoscono la chimica che ai miei tempi non si curava. Adesso è fondamentale per capire il perché delle cose”. E questo all’Alberghiero di oggi viene insegnato? “Poco”. Il primo passo sarebbe questo? “Lo dico da trent’anni: l’Alberghiero sarebbe da riformare, invece lo riformano sempre in modo negativo, mai positivo”. E dar vita a Verona una nuova scuola di alta cucina e hotellerie avrebbe senso? “Bisognerebbe tornare a insegnare l’abc, come latino e greco al liceo Classico, per la cucina c’è bisogno di insegnare le basi e dopo puoi andare dove vuoi. Ma andrebbero inserite le ore di chimica perché la chimica degli alimenti è fondamentale”. Chef, la sua grande scuola qual è stata? “L’esperienza della Francia che mi ha fatto conoscere il rigore, poi il periodo della Spagna per la creatività, infine il Nord Europa dove c’è la cucina vegetale e l’astrattismo della cucina. Ci sono state varie mode nel tempo e tanti ragazzi che arrivano qui comunque portano esperienze”. Ai giovani cosa consigli? “Per un cuoco è fondamentale aprire la mente e la mente si apre al palato. Ogni parte del mondo ti dà opportunità e ti apre finestre nuove.Fondamentale è la memoria del gusto del passato. La tradizione è tradizione, anche difficile da esportare perché sono cibi legati al territorio”. MB