Con il neologismo social del Quiet Quitting, si intende l’idea di disimpegnarsi dal proprio lavoro, optando per fare lo stretto indispensabile, direzionando le energie restanti ad altri aspetti di vita. Tale spostamento di investimento, pare avvenire nell’ottica di migliorare l’equilibrio tra vita professionale e privata (work life balance). Un abbandono quindi, progressivo e silenzioso, rispetto il dover far oltre lo stretto dovuto, dove a non trovare più spazio sono la dedizione, la reperibilità, la reattività nelle urgenze… Al loro posto, un tempo ritrovato o per alcuni nuovo, da dedicare alla famiglia, agli amici e alle attività personali. Un atteggiamento che sembra descrivere il desiderio di slegare l’identità personale dalla carriera, rifiutandosi di mettere il lavoro al centro di tutto. Se gli scenari lavorativi sono stati da sempre caratterizzati da lavoratori engaged (impegnati) e disengaged (disimpegnati) la dilagante diffusione negli ultimi tempi di questo fenomeno, pare essere dovuta a più aspetti, correlati all’ultimo periodo, e riguardare soprattutto le generazioni più giovani. Il quiet quitting è solitamente descritto infatti come un fenomeno generazionale, che interessa in prevalenza Millennials e Generazione Z, in una sorda risposta all’ormai tramontato mito stakanovista.
La maggiore responsabile del fenomeno, pare essere l’insoddisfazione lavorativa. Il report “State of the global workplace 2022” di Gallup, evidenzia che in Europa solo il 14% dei dipendenti si sente coinvolto nel proprio lavoro e solo un terzo ne è appagato. Il 39% sperimenta vissuti di stress e prova malessere psicologico diffuso. I lavoratori poi, lamentano occupazioni poco stimolanti, con scarse prospettive di crescita, difficoltà con i colleghi e in generale malcontento. Un altro aspetto correlato allo sviluppo e alla crescita del Quiet Quitting sembra essere che dopo la Pandemia da Covid-19 l’esperienza dei lock-down e dello smart working hanno, se non capovolto, di molto rivisto il sistema di valori. Molte persone hanno scoperto un modo diverso di vivere, di conciliare lavoro e tempo libero e ora non sono disposte a ritornare al modello “workaholic” che ha contraddistinto gli ultimi decenni.
Dopo la Great Resignation, con cui si fa riferimento all’importante aumento di dimissioni a livello mondiale che ha caratterizzato il 2021 (Papapicco, 2022), il ritorno a forme di lavoro ibride, ma anche presenziali, è stato in parte precursore del fenomeno. Il Quiet quitting può essere considerato quindi come una reazione a più eventi, dal burnout o dallo stress lavoro correlato che hanno caratterizzato gli ultimi tre anni, ma non solo. È evidente che l’insoddisfazione e la frustrazione dei lavoratori abbiano giocato un ruolo fondamentale in questo processo. Ciò che è innegabile inoltre è che negli ultimi anni, complice l’esperienza della Pandemia, è che è cambiato il modo di vivere e percepire il lavoro. Il mondo del lavoro è stato scosso e necessita di una restaurazione profonda che privilegi l’equilibrio vita/lavoro.
Sara Rosa, psicologa e psicoterapeuta