In una Verona, come abbiamo scritto ieri sulla Cronaca tratteggiando gli scenari futuri di enti e politica, che fatica a fare squadra con una visione che valorizzi al meglio i suoi asset principali, c’è una solidità economica e finanziaria di fondo che si conferma mese dopo mese.
Le potenzialità sono così tante in questa città, crocevia di mondi e di economie, che anche procedendo in ordine sparso i risultati arrivano.
Ma cosa sta succedendo? I casi economici sono eclatanti. Prendiamo ad esempio l’indagine VenetoCongiuntura di Unioncamere del Veneto che pubblichiamo nelle pagine seguenti: nel primo trimestre 2023 la produzione industriale ha segnato un aumento dell’1,1%, positivo ma in frenata rispetto al 2022 e il confronto su base tendenziale è pari al 2,2%, ben al di sotto della media del 2022. Diverso però il discorso per la nostra provincia, dove nel primo trimestre la produzione invece è in aumento del 4%, il fatturato totale cresce del 6,2% e gli ordini non sono in diminuzione ma stazionari. Con un tasso di disoccupazione fisiologico al 3,2% nettamente inferiore all’8,2% nazionale, Verona fa fatica a trovare risorse umane: è più l’offerta della domanda, anche se la realtà va differenziata per settori. Sicuramente langue il settore del turismo che è il settore trainante per il mercato interno in forte crescita dopo il Covid: 17 milioni di presenze nel 2022, in aumento del 5% e con un trend che porterà a superare i livelli pre pandemia. E c’è poi l’export: l’interscambio commerciale è di 35 miliardi di euro, di cui 20 di importazioni in aumento del 21% e 15 di esportazioni in aumento del 12,7%. Nel 2022 Verona è stata la decima provincia italiana per esportazioni.
Numeri positivi, ma che probabilmente non sono sufficienti a fotografare la realtà sociale della nostra quotidianità dove molte sono le famiglie in difficoltà per l’alta inflazione e il rincaro dei tassi di interesse. Tema affrontato al Festival dell’economia di Trento che si svolge in questi giorni e dove è stato toccato spesso il tema delle diseguaglianze e della povertà confermato dal declino economico della classe media in tutti i Paesi occidentali. Un argomento analizzato dai professori Leonardo Morlino, Massimo Egidi, Guido Carli, Roberto D’Alimonte e dal filosofo Sebastiano Maffettone.
Fondazione Arena, conti da record tra sponsor, donazioni e biglietti. Gasdia: “Con il progetto 67 colonne raccolti 1,9 milioni. Altri 15 dalla vendita dei biglietti”. Ceto medio, politiche diverse in Europa
E se da un lato viene sottolineata la perdita di progettualità di lungo periodo della classe politica che da anni ormai ragiona solo sul qui e ora sotto la pressione dei social e delle scadenze elettorali, dall’altro ci sono le nuove tecnologie che portano via il lavoro, la riduzione del reddito fermo da anni e aggredito dall’inflazione, l’aumento dei prezzi, la difficoltà per la classe media di garantirsi la cadsa di proprietà, una buona sanità e una buona istruzione.
Un ceto medio aggredito in alcuni Paesi per chiara volontà strategica: è il principale consumatore del welfare, che è la voce più costosa per uno Stato. Mentre alcuni Paesi mettono in atto èprecise politiche per ridurre le disuguaglianze sociali come Spagna e Paesi nordici, per altri Paesi ridurre il ceto medio significa per uno Stato abbattere le spese di assistenza, di sanità, di servizi pubblici e quindi ben venga una spaccatura sociale che porterà sempre più disparità: ci sarà una parte del ceto medio che riuscirà ad approdare alla sponda dei ricchi mentre un’altra parte scivolerà più in basso verso la povertà. I ricchi saranno in grado di pagarsi i servizi e la sanità, mentre per i poveri basteranno un po’ di sussidi e il risparmio sul welfare diventa realtà. Una strategia che interessa soprattutto i Paesi anglo-americani con il rischio che possa contagiare anche i Paesi vicini.
La capacità della democrazia di ridurre le disuguaglianze dunque viene messa in pericolo e la reazione a queste tendenze è un voto di rabbia e protesta: il vuoto politico viene riempito con tendenze populiste.
Ben vengano dunque le buone notizie sull’andamento dell’economia e della produzione locale se questa ricchezza poi saprà essere redistribuita con politiche oculate, anche locali perché come abbiamo visto le potenzialità non mancano.
Un’altra testimonianza del terreno fertile veronese arriva dalla Fondazione Arena che con l’operazione di fundraising sta raccogliendo obiettivi inaspettati come ha anticipato la sovrintendente Cecilia Gasdia al Sole24Ore (la presentazione ufficiale dei dati è prevista lunedì prossimo).
Con il progetto “67 colonne” ideato dalla Fondazione Arena per coinvolgere le imprese nel sostegno alla lirica, e giunto alla terza edizione, quest’anno sono stati raccolti quasi 2 milioni di euro (1,9 per la precisione) in crescita rispetto alle edizioni precedenti che avevano fatto registrare 1,5 milioni. Del resto è noto, come confermato da una indagine dell’università di qualche anno fa, che l’indotto dell’Arena sulla città è di centinaia e centinaia di milioni (440 nei soli tre mesi estivi dell’opera lirica).
A questi traguardi si aggiunge il botteghino: il grande ritorno degli stranieri ha portato a un incasso di oltre 15 milioni dalla vendita dei biglietti. “Il bilancio della Fondazione che sarà approvato nelle prossime settimane, anticipa Gasdia, è costituito per il 60% da ricavi provenienti dalla biglietteria o da sponsor e sostenitori privati. Quattro milioni e mezzo sono stati raccolti grazie a donazioni e sponsorship, superando di circa 1 milione il risultato già record del 2022 e rappresenta circa il 10% del bilancio”.
Tutto questo alla vigilia della stagione del Centenario che vede già molte date sold out per l’opera lirica.
Il Veneto rallenta nel 2023. Ma fa meglio della Germania. Nei primi tre mesi del 2023 a livello regionale crescita stazionaria (+1,1%) scongiurata la recessione. Nel 2020 il boom della ricchezza
Del resto, la ricchezza di Verona e dei veronesi era stata fotografata tre anni fa dalla Banca d’Italia: complice il lockdown e quindi la poca propensione al consumo, i conti correnti e i depositi dei veronesi, intesa come ricchezza personale, era esplosa.
Tra conti correnti, depositi bancari e postali, titoli di proprietà, fondi comuni e polizze i veronesi avevano da parte nel 2020 più di 150 miliardi di euro, con un dato pro capite pari a circa 165 mila euro. A questo patrimonio finanzario va aggiunto quello immobiliare, un patrimonio sostanzialmente simile a quello mobiliare: la ricchezza complessiva dei veronesi quindi era pari a più di 300 miliardi, più o meno 320 mila euro a testa. E anche in questo caso Verona e provincia entrano nella top ten italiana.
Con un ulteriore dettaglio: ai veronesi piace avere i soldi sul conto corrente e nei depositi, quindi non investito in titoli od obbligazioni e fondi. Solo sui conti correnti nel 2020 secondo la Banca d’Italia a Verona c’erano più di 25 miliardi di euro.
Una ricchezza personale dunque frutto di un’economia che viaggia e lo fa più velocemente che nel resto del Veneto come emerge dallo studio congiunturale di Unioncamere.
Nei primi tre mesi del 2023, nonostante livelli di produzione delle imprese ancora positivi, prosegue il rallentamento dell’attività manifatturiera del Veneto, confermando il trend di crescita stazionaria emerso a fine del 2022. Si allontana tuttavia lo spettro della recessione e migliorano le stime per l’Italia, che va meglio di Francia e Germania, e per il Veneto.
Secondo l’indagine VenetoCongiuntura, nel primo trimestre del 2023 la produzione industriale ha segnato una variazione congiunturale destagionalizzata positiva pari a +1,1%. Il confronto su base tendenziale è pari al +2,2%, ben al di sotto rispetto al +4,5% della media del 2022. Gli ordinativi interni ed esteri registrano su base tendenziale una leggera diminuzione rispettivamente del -1,5% e del -2,3% (-0,2% e -0,4% nell’ultimo trimestre 2022). Il fatturato segna
un aumento significativo pari a +5,8%, ma sulla dinamica dell’indicatore pesa ancora l’incremento di prezzo dei prodotti finiti.
Migliorano cautamente anche le aspettative degli imprenditori. Si prefigura di nuovo, però, uno scenario di marcate differenze fra settori con le industrie di beni di consumo più penalizzate perché più esposte alla pressione sui prezzi.
È il bilancio tracciato dall’analisi congiunturale sull’industria manifatturiera, realizzata da Unioncamere del Veneto, è stata effettuata su un campione di oltre 2.000 imprese con almeno 10 addetti, cui fa riferimento un’occupazione complessiva di oltre 90.000 addetti e un giro d’affari che si aggira attorno ai 18 milioni di euro.
Aumentano i prezzi, consumi ko. Bene macchine elettriche ed elettroniche e apparecchi meccanici. Beni di consumo fermi
“Le ultime proiezioni di crescita mondiale di aprile (+2,8%), anche se in leggero ribasso rispetto alle previsioni di gennaio, di fatto allontanano la temuta recessione tecnica paventata lo scorso ottobre. Le stime del PIL italiano sono in crescita dallo 0,6% allo 0,7% e il nostro Paese tiene meglio di Francia e Germania e viene percepito come più solido. Secondo Prometeia anche il Pil del Veneto è in rialzo di
+0,4 punti percentuali rispetto a gennaio.
I dati dell’indagine congiunturale alle imprese manifatturiere, pur continuando a restare in territorio positivo (produzione +1,1% congiunturale destagionalizzato, 2,2% tendenziale), fanno emergere chiari segnali di indebolimento della domanda e si prefigura di nuovo, uno scenario di marcate differenze fra settori: più penalizzate le industrie di beni di consumo, più esposte alla pressione sui prezzi.
Di conseguenza per il 2023 risultano in rallentamento consumi interni e delle famiglie riflesso della diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie per l’alta inflazione, mentre aumentano sensibilmente le previsioni degli investimenti, spinti probabilmente dagli interventi legati a bonus edilizi e PNRR. Con la diminuzione dei costi delle materie energetiche ci si attendeva un calo dell’inflazione, che sta invece continuando su trend elevato: diminuirà, ma meno di quanto ci si aspettava.
Inoltre, se permane un’inflazione alta c’è il rischio di una prosecuzione della stretta sul costo del denaro, che potrebbe impattare ulteriormente l’economia. Il tema dell’inflazione resta fondamentale per capire come
proseguirà l’economia nel 2023”.
Nei primi tre mesi del 2023, nonostante i livelli di produzione delle imprese abbiano registrato ancora un valore positivo, si conferma il rallentamento dell’attività manifatturiera del Veneto come emerso a fine del 2022 quando la produzione aveva segnato una crescita nulla. Nel primo trimestre
del 2023 la produzione industriale ha segnato una variazione congiunturale destagionalizzata positiva pari a +1,1%. Il confronto su base tendenziale è pari a +2,2%, ben al di sotto rispetto al +4,5% della media del 2022.
La distribuzione media dei giudizi della produzione rimane invariata rispetto a fine 2022: le imprese interessate da un aumento della produzione sono il 51% del campione mentre sono il 30% le imprese che dichiarano una diminuzione. Il 19%, circa una azienda su 5, dichiara una sostanziale stabilità.
Per quanto riguarda la tipologia di beni prodotti la variazione positiva dell’indice complessivo della produzione in termini tendenziali è determinata dalla crescita del +8,3% dei beni strumentali e, in modo minore, da quella dei beni di consumo (+2%).
In leggera diminuzione la produzione dei beni intermedi che registrano una variazione negativa del -0,6%.
A livello settoriale le attività economiche in crescita rispetto ai primi tre mesi del 2022 sono lemacchine elettriche ed elettroniche (+9,4%) e le macchine ed apparecchi meccanici (+7,5%).
Ci salva il turismo: dati in aumento. Raggiunti i 17 milioni di presenze. Disoccupazione ai minimi: 3,2 contro l’8,2 nazionale
Registrano una variazione positiva ma meno marcata i settori delle altre imprese manifatturiere (+2,6%), determinata dalla buona performance del comparto prodotti farmaceutici, dell’alimentare e bevande (+1,3%) e dei metalli e prodotti in metallo (+0,6%). Le flessioni più ampie si evidenziano nei settori del tessile e abbigliamento (-3,3%) e del marmo, vetro e ceramica (-3%).
Per quanto riguarda gli ordinativi, dopo un fine 2022 in positivo, si registra una frenata sia per
quelli provenienti dal mercato estero (-2,3%) sia per quelli interni (-1,5%).
L’andamento negativo si riflette su quasi tutti i settori del manifatturiero ad esclusione di: mezzi di trasporto (+3,1% mercato interno, +1,1% mercato estero), macchine elettriche ed elettroniche (+0,8% mercato interno,
+1,7% mercato estero) e marmo, vetro e ceramica (stabile mercato interno, +7,4% mercato estero).
Previsioni
Le attese degli imprenditori del comparto manifatturiero rimangono cautamente positive e in leggero miglioramento rispetto a quelle registrate a fine 2022. In media, cresce a 51% la quota di
imprenditori che scommettono sull’aumento della produzione tra aprile e giugno (era 45% nell’ultimo trimestre del 2022) e diminuisce a 16% (era 21%) la quota di imprenditori che si attendono una diminuzione.
Rimane costante a 33% invece la quota di chi prevede una situazione di stazionarietà (era 34%).
L’analisi a Verona
Secondo l’analisi di Veneto Congiuntura nella provincia di Verona, nel I trimestre la produzione è in aumento del 4,0%, il fatturato totale è in aumento del 6,2% (interno +3,6%, estero +7,4%) e gli ordini totali sono stazionari: -0,1% (interni -3,3%, esteri +0,8%).
“Ci sono quindi tutti gli elementi – spiega Giuseppe Riello, Presidente della Camera di Commercio di Verona – per un cauto ottimismo delle imprese sull’andamento della congiuntura nei prossimi mesi”.
“Lo stock delle imprese nel 2022 è di 116.412 (tra imprese e unità locali) ed è cresciuto dello 0,5%”, prosegue Riello mentre “Il pil nel 2021 è stato di 28 miliardi di euro, in aumento del 6,3% sul 2020 e siamo 19esimi nella graduatoria nazionale valore aggiunto pro-capite. Il tasso di disoccupazione è fisiologico, al 3,2%, e sappiamo bene quali siano le difficoltà delle imprese nel reperimento delle risorse umane”.
Una percentuale quindi “ben inferiore alla media nazionale dell’8,2%. Possiamo contare su un interscambio commerciale di 35 miliardi di euro di cui 20 di importazioni, in aumento del 21%, e 15 di esportazioni, in aumento del 12,7%. Nel 2022 siamo stati la decima provincia italiana per esportazioni, le
nostre imprese sono competitive sui mercati esteri, europei e nordamericani in particolare”.
“Non si può, però, non sottolineare come il mercato interno”, evidenzia Riello, “con ordini in diminuzione del 3,3% nel primo trimestre, sia in stallo: l’incertezza e la crisi di fiducia dei consumatori, l’inflazione e l’aumento dei tassi d’interesse preoccupano. L’economia correrà ancora? E’ tutto da vedere, senza dubbio possiamo contare su un settore trainante per il mercato interno che è quello del turismo, nel 2022 abbiamo raggiunto i 17milioni di presenza: ancora un aumento del 5% e supereremo i livelli pre-Covid”.
mb