Paola Pezzo, nata a Bosco Chiesanuova l’8 gennaio del 1969 è stata la mountain biker di maggior rilievo in Italia. La sua grandezza è rappresentata dalle due medaglie olimpiche conquistate nel 1996 ad Atlanta e nel 2000 a Sydney nella specialità che più le appartiene, il cross country.
Come avvenne l’avvicinamento al mondo del ciclismo?
“Inizialmente, essendo nata a Bosco, ho praticato per molti anni sci di fondo e le mie qualità da sportiva emersero subito. Cercavo sempre di migliorarmi perché sognavo di poter partecipare alle Olimpiadi. Purtroppo mi resi conto che la convocazione tanto desiderata tardava ad arrivare e, proprio in questo momento di crisi, conobbi il dentista del paese Ginepro, conosciuto qui a Bosco come “Peppo”. Lui era un grande appassionato di ciclismo e amava trascorrere il proprio tempo con i bambini, imprestando loro delle biciclette e dei caschetti.
Ginepro come punto di riferimento..
Assolutamente si. Era solito guidarci in lunghe pedalate e vide subito del potenziale in me a tal punto che, quando uscì la prima rampichino negli anni 88/89, me la regalò dicendomi: “questa sarà il tuo futuro”. Da lì in poi, cominciai a vincere fino alla medaglia d’oro ai mondiali del 93. Dopo questo successo firmai il primo contratto da professionista e iniziai a dedicarmi a tempo pieno al ciclismo, smettendo di lavorare in altri contesti.
Ci sveli, se ci sono, dei retroscena che stanno alle spalle dei due ori olimpici?
Nel 96 ad Atlanta non ero la favorita e incontrai delle difficoltà legate al clima, c’era molto caldo e gareggiammo alle 14:30 ora locale. Mi preparai bene, ma sfortunatamente caddi e persi la borraccia. La rabbia di voler recuperare prese il sopravvento su di me e cercai di inseguire coloro che mi precedevano ma, fortunatamente, la razionalità mi spinse a tornare indietro a recuperare la borraccia perché senza l’acqua con quel caldo non sarei arrivata alla fine. La veemenza della mia reazione fu tale che gradualmente scalai le posizioni e mi aggiudicai la vittoria. Mentre invece a Sydney nel 2000 avevo tutti gli occhi puntati addosso, ma avevo 31 anni, i ritmi di recupero erano più lenti e gareggiavo contro molte atlete più giovani di me. A tutto ciò si aggiunse il fuso orario australiano a complicare la situazione. Durante tutto l’arco della gara mantenni un ritmo regolare, mentre le rivali optarono per una partenza a mille e calarono alla lunga.
Di cosa si occupa attualmente?
Oggi mi dedico completamente ai giovani: ho aperto una scuola di Mountain Bike a Valeggio che ospita bambini e ragazzi fino ai 12 anni. Inoltre insegno Mountain Bike al Liceo Scientifico Sportivo di Castelletto di Brenzone.
Lei ha due figli che praticano sport, che ne pensa dell’invadenza dei genitori nel percorso di crescita sportiva dei propri figli?
Il binomio sport/divertimento è fondamentale. Io mi sono limitata ad avvicinare i miei due figli al mondo dello sport, ma non mi reputo una madre che infonde pressioni. Mio figlio più grande è un appassionato di ciclismo, ma da piccolo ha provato altri sport, quale ad esempio il basket. Quello più piccolo ama andare in bici, ma ha praticato anche il calcio. Infine una chiosa sui suoi progetti futuri..
*Vorrei sempre far parte del meraviglioso ambiente del ciclismo: mi piacerebbe lavorare in Federazione, magari incentivando la nascita di una sorta di scuola che si pone come obiettivo la ricerca e la cura del talento.
Diego De Angelis