E tu vallo a raccontare, alla gente, del vecchio “Spina”. “Chi, Arcadio Spinozzi?”. Sì, proprio lui. Spinozzi. No, non è stato un campione, era un giocatore “normale”. Di quelli, che, a prima vista, non rubano l’occhio, non lasciano il segno. Poi, vai a vedere, tra le righe di una storia “normale” e scopri ante cose speciali.
Scopri, ad esempio, che “Spina” è stato un leader, a Verona e pure alla Lazio. Anzi, se perdi un po’ di tempo su facebook, ti accorgi che a Roma è ancora un idolo. Silenzioso, certo. Mica devono parlare, i leader. Anche a Verona lo è stato ed era il Verona di Zigoni e Mascetti, giusto per capirci. Ma toccò al vecchio “Spina”, scendere dal pullman e mettere i fiori là, dove il treno maledetto era uscito dai binari ed erano morte 50 persone. Il treno che poteva diventare la bara dell’Hellas. Ci andò Spinozzi, a metterci i fiori e quel gesto non poteva farlo un giocatore “normale”.
Non lo è stato, il vecchio “Spina”. Te ne accorgi quando parli con loro, i suoi compagni. Zigoni, Mascetti, Maddè, Luppi… C’è stima, affetto, rispetto. Te ne accorgi quando leggi i pensieri dei vecchi tifosi laziali, che ne parlano come fosse stato Giorgione Chinaglia.
Eppure “Spina” era un difensore “normale”, uno che, a ben guardare, non aveva neppure un ruolo preciso. Perchè sapeva fare tutto. Il terzino, il mediano, lo stopper, il libero. Perchè dove lo mettevi, lui andava. In silenzio. “Toh – ha scritto sotto una foto di un Milan-Verona – guarda chi marca un certo Gianni Rivera…”. S’è preso in giro, “Spina”. Lo marcava lui, Rivera. Perchè non era “normale”. Lui è stato un grande e forse non lo sapeva…