Prosegue il nostro viaggio nel territorio veronese alla ricerca delle tante iniziative culturali nate grazie all’impegno di istituzioni pubbliche e associazioni. In questa puntata ci soffermiamo sulle proposte di Palazzo Bottagisio a Villafranca, un edificio conosciuto come “Casa del Trattato” in memoria dell’accordo risultato fondamentale per la conclusione della seconda Guerra d’Indipendenza. Il palazzo, più volte trasformato e ampliato, dispone di un giardino botanico, si apre a un cortile con barchessa e ospita il Museo del Risorgimento, uno spazio espositivo permanente e alcune sale destinate ad allestimenti temporanei promossi dall’assessorato alla Cultura del Comune di Villafranca. Il museo conserva cimeli, documenti e manufatti legati alle guerre di unità d’Italia compresi oggetti personali di cittadini arruolati nelle file dei garibaldini. Invece, lo spazio permanente, vede protagonista, in tre aree tematiche (“paesaggi”, “sacralità” e “arte moderna”), la collezione donata dal dottor Giovanni Martinelli alla sua città. Ancora, a poca distanza, nelle sale utilizzate per le mostre temporanee e fino al 28 maggio, è visitabile la personale “Correlazioni”, della veronese Maria Teresa Cazzadori presentata dal docente e critico d’arte Gian Luigi Guarneri. Con sperimentazioni informali, utilizzo di monocromie e materie a volte dimenticate, l’artista si apre a interventi creativi che puntano a un linguaggio visivo essenziale e fanno emergere ricordi di un passato ancora vivo. L’arte materica che ne esce, contraria a qualsiasi “forma predefinita”, determina metamorfosi e riqualificazioni di oggetti altrimenti dimenticati che si presentano come ombra visibile di esperienze già vissute, alle quali donare altri significati. Grazie al riciclo di materiali erosi, graffiati, palesemente usati e apparentemente inutili, l’esperienza del vedere si apre anche al sociale con una carica creativa riflesso di un mondo spesso sommerso che promuove, attraverso l’occhio, messaggi forti, capaci di colpire non solo l’estetica ma anche le coscienze, in un modo simbolico e dirompente. Su tele, carta, ferri, legni, spesso salvati da un destino di abbandono e che, senza il recupero, rimarrebbero privi di espressione, vengono applicati spessi strati di pigmenti e sostanze. Ne derivano rilievi grezzi mescolati a carta, stucco, cemento, colla e altri impasti che accentuano la tridimensionalità, creano spessore e determinano un effetto finale solido e scultoreo, intriso di consistenze diverse. Non sono i colori gli elementi fondanti di queste opere ma, più spesso, le trame percepite e la “fisicità” che essi determinano con potenzialità evocative di un universo caotico che difficilmente raggiungerà l’ordine razionale. La ricerca creativa sembra sondare la materia nuda per darle una possibilità di riscatto, restituirle energia e nuovo equilibrio armonico. Sulle opere non mancano segni e codici proposti come alfabeti personali rappresentativi di linguaggi simbolici e liberamente interpretabili. Alla pittura e alle installazioni materiche si alterna la tecnica grafica frutto essa stessa di una sperimentazione visiva capace di infrangere le regole tradizionali dell’incisione grazie all’utilizzo di metodiche riformulate, matrici a rilievo e gesti non convenzionali. La tavolozza cromatica dell’artista è ricca di due estremi spesso avvertiti come inconciliabili: il bianco e il nero. La tensione che essi determinano ci parla di bene e male, di luce e buio, di colpevolezza e innocenza, di felicità e tristezza. Il bianco è pulito e puro tanto da evocare, praticamente ovunque, innocenza e serenità. Il nero è sporco e tenebroso ma, al tempo stesso, elegante e autorevole.
Chiara Antonioli